Sono passati dieci anni dal terremoto in Emilia. Una lunga sequenza sismica, con due violente scosse il 20 e 29 maggio 2012. Di quei giorni rimangono nella memoria collettiva la torre dei Modenesi di Finale Emilia, con il suo orologio crepato al centro, rimasta in piedi quasi per miracolo per poi sbriciolarsi qualche ora dopo. Il parroco di Rovereto sul Secchia che perse la vita per mettere al sicuro una statua della Madonna. E gli operai schiacciati dalle travi nei capannoni mentre si trovavano al lavoro. 28 morti, 300 feriti e oltre 12 miliardi di euro di danni. Il decennale del sisma segna però un importante traguardo: la ricostruzione ha raggiunto oltre il 95% con un "modello Emilia" che ha fatto scuola. Ma le vittime rimangono e non si dimenticano.

Lisa Vincenzi è un baluardo della Filctem Cgil modenese sul territorio di Mirandola. Da impiegata e delegata sindacale del polo biomedicale, oggi è una funzionaria della federazione dei lavoratori chimici, tessili, energia e manifatture. Dall'impiego in fabbrica è passata a seguire molte delle vertenze della zona: un punto di riferimento per i lavoratori di questo territorio. “Sono passati dieci anni – ricorda – ma sembra ieri, tanto sofferto e indelebile è nella memoria il ricordo di quei momenti così drammatici”. 

“Il terremoto del 20 maggio 2012 – sottolinea la funzionaria sindacale – è stato devastante per noi di Mirandola, come per gli abitanti di Medolla e Finale Emilia, epicentro del sisma ad appena 15 chilometri di distanza. La prima scossa è avvenuta nel cuore della notte: mi sono svegliata di soprassalto, con una gran paura e sono scappata fuori di casa. Nello stesso momento, nei capannoni del distretto sono venuti giù soffitti e tramezzi, rendendo in larga parte inagibili le strutture produttive del distretto. Nei giorni seguenti, abbiamo fatto la conta dei danni, cercando di trovare il modo di far ripartire il lavoro nei pochi edifici rimasti in piedi. Tutto questo in un contesto molto difficile, con la terra che tremava di continuo”. 

“Il 29 maggio – ricorda Lisa Vincenzi – è arrivato il colpo del knock out. Una tremenda scossa, ancora più rovinosa della prima, giunta in orario lavorativo. Ci siamo ritrovati con diversi colleghi uccisi, schiacciati sotto il crollo dei capannoni. Questa volta a venir giù sono stati interi stabilimenti. Una tragedia, che, di fatto, ha reso impossibile il prosieguo di qualsiasi attività”. 

“Passata la prima emergenza – prosegue – pur in mezzo a mille difficoltà, abbiamo cercato di organizzarci. Come delegati, ci siamo immediatamente attivati per capire come tutelare al meglio i nostri colleghi. Ci siamo confrontati con i responsabili delle multinazionali, con i titolari della miriade di piccole e medie imprese del distretto, comprese quelle dell’indotto, per conoscere le loro intenzioni e vedere come riuscire a dare seguito all’attività. Il rischio che tutte le produzioni fossero trasferite definitivamente altrove era altissimo, perché di agibile e funzionale era rimasto ben poco”.

Le rassicurazioni per i lavoratori sono arrivate nei mesi successivi, quando sono stati stesi i primi progetti per la rinascita. "Per molto tempo non abbiamo visto che ruspe intente a sgomberare le macerie, poi è iniziata la ricostruzione. Il vero encomio lo meritano tutti i lavoratori, uomini e donne che hanno lavorato per almeno due anni fuori dal distretto, magari a 100-150 km di distanza, facendo i pendolari, accettando i sacrifici, pur di assicurare le produzioni e mantenerle qui”.

“Le aziende – ricorda Lisa Vincenzi – hanno sfruttato la ricostruzione per impattare meno sull’ambiente e per rendere più confortevoli e all'avanguardia gli ambienti di lavoro. I primi due-tre anni dopo il sisma sono stati i più duri ma dal 2015, grazie anche alle maestranze locali, il polo biomedicale di Mirandola ha ripreso a marciare a pieno regime, tornando ad accrescere le produzioni di qualità, facendo lievitare anche fatturato e utili. Quell'evento tragico ci ha sicuramente forgiato – conclude Lisa Vincenzi – e oggi siamo più forti di prima”.

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