Il recente Rapporto Bes dell’Istat di fatto conferma i bisogni e gli obiettivi che il superamento della crisi pandemica ci consegnerà. Le misure di prevenzione del contagio, fatte di lockdown, distanziamento, cambiamento delle abitudini, ripristino dei confini rispetto a una mobilità assoluta sta modificando gli equilibri sociali e disegnando modelli diversi. I sistemi economici devono riprogrammare la propria capacità produttiva e di sviluppo. Il blocco dei licenziamenti sta mantenendo una situazione stabile, ma si annunciano trasformazioni importanti a partire dalle professioni, dai mestieri: molte imprese stanno cambiando il proprio “core business” e con loro anche le lavoratrici e i lavoratori devono cambiare, pena una selezione sul campo, che una necessaria riforma degli ammortizzatori sociali dovrà accompagnare ed arginare.

Il processo sarà lungo e complesso ecco perché da subito occorre innalzare le competenze delle persone a prescindere dalle nuove professioni che intraprenderanno: non basta cioè attivare una formazione professionalizzante, ma occorre mettere in campo un processo di istruzione e formazione in grado di dare strumenti utili per il medio e lungo periodo.

Il potenziamento delle competenze è uno dei punti principali delle politiche europee espresse attraverso gli obiettivi del Next generation Eu: un grande investimento sulla istruzione e formazione permanente, una grande attenzione alla rimozione delle problematiche che favoriscono gli abbandoni scolastici e la povertà educativa. Il nostro Paese ha mali storici. Uno di questi riguarda gli investimenti sulla scuola per i più piccoli: è dimostrato che una scolarizzazione precoce favorisce l’acquisizione delle competenze. In Italia ancora insufficienti sono gli investimenti sui nidi e soprattutto troppe le differenze territoriali. 

Occorre più scuola, pubblica e gratuita: dove ci sono i nidi questi comunque hanno un costo e ciò introduce una ulteriore discriminante accanto a quella territoriale. Questi problemi, creando condizioni precoci di predeterminazione del futuro dei nostri giovani, impediscono percorsi di istruzione e formazione basati sulle proprie capacità e propensioni e legati ancora a condizioni socio-economiche casuali che lo Stato non riesce a rimuovere. Tra l’altro intervenire su queste tematiche vorrebbe dire contribuire davvero alla rimozione dei problemi di genere che le donne spesso incontrano. Infatti le competenze delle donne rispetto agli uomini sono maggiori, ma nei luoghi di lavoro la selezione tra uomini e donne passa attraverso altri parametri. 

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I finanziamenti europei in arrivo possono rappresentare una grande opportunità e dovranno essere orientati su alcune grandi linee: una è quella del potenziamento dei servizi educativi e della scuola dell’infanzia, con uno sviluppo del tempo scuola anche per gli altri ordini. Le altre linee dovranno essere rivolte a sconfiggere la povertà educativa e l’abbandono scolastico e a sviluppare un vero e proprio sistema per la istruzione e formazione permanente.

L’istruzione degli adulti dovrebbe essere garantita dai Cpia. Purtroppo però come spesso accade nel nostro Paese si crea il contenitore ma lo si lascia vuoto: queste istituzioni ad oggi svolgono la propria attività per il conseguimento di titoli di studio ordinamentali e per fornire certificazioni linguistiche specifiche. Troppo poco: il potenziale di queste istituzioni è ben altro. La terza media oramai – con l’obbligo scolastico a 16 anni – è sempre più diffusa, ciò che manca sono vere e proprie competenze di base che possono essere recuperate con una flessibilità dei percorsi formativi da adattare in base alle esigenze dei vari territori. I Cpia sono in grado di fare questo ma hanno bisogno di risorse finalizzate e di flessibilità organizzativa: in questi luoghi di lavoro si stanno sviluppando professionalità nuove e importanti che necessitano di supporto anche formativo, per rispondere alle domande che il territorio esprime. 

Una parte importante degli investimenti europei dovrebbe riguardare anche percorsi di alta formazione terziaria, post-diploma o post-università: l’Europa, e quindi anche l’Italia, deve mantenere una capacità produttiva legata alla innovazione e alla qualità per poter reggere la competizione globale. Solo l’istruzione e la formazione possono supportare queste scelte. La complessità della situazione non riguarda solo l’Italia ma è evidente che il nostro paese è tra quelli che hanno maggiori difficoltà. 

L’Italia ha bisogno di fare “sistema”: occorre integrare tutte le opportunità e valorizzare le capacità di ciascun soggetto coinvolto. In questo senso è importante il rapporto tra pubblico e privato che, soprattutto nel settore dell’istruzione e della formazione, deve essere integrativo: regia pubblica con valorizzazione di specificità del territorio. Ecco perché è importante il potenziamento dei Cpia che, attraverso gli accordi di rete, non solo possono legare i soggetti pubblici di un territorio ma possono valorizzare le esperienze del terzo settore o particolari eccellenze private di un territorio in funzione educativa e formativa. 

La contrattazione sociale potrebbe vedere parte delle risorse territoriali orientate alla costruzione di opportunità formative per tutti, con investimenti su mobilità, qualità del territorio, valorizzazione culturale e artistica, occasioni didattiche, eccetera. La contrattazione può creare le condizioni perché ai lavoratori siano garantiti spazi formativi all’interno del proprio lavoro, come opportunità di crescita personale e professionale, con un rilancio di un nuovo concetto delle 150 ore,  su cui la Cgil spese molte delle proprie migliori energie. Oggi queste sono le proposte importanti che il nostro sindacato sta portando avanti, a partire dal segretario generale, e per le quali dovrebbero essere orientate parte delle risorse dei rinnovi contrattuali.

Alessandro Rapezzi è segretario nazionale della Flc Cgil