Un calo del 10 per cento del pil, per sette miliardi di ricchezza bruciata; una perdita stimata di oltre 18 mila posti di lavoro; 220 mila lavoratori in cassa integrazione; 18 mila famiglie che percepiscono il reddito di cittadinanza, un fiume carsico fatto di accentuata precarietà lavorativa nei settori più disparati. È questa la fotografia della Puglia al tempo del Covid, che richiede “un progetto che affronti le emergenze economiche e sociali e sia in grado sul piano infrastrutturale di rendere più competitivi e attrattivi questi territori”.

Un Piano di sviluppo per la Puglia” è proprio il titolo dell’assemblea generale di quadri e delegati che la Cgil ha svolto oggi (martedì 22 dicembre) in videoconferenza, con la partecipazione del segretario generale Maurizio Landini, che ha chiuso i lavori. “Abbiamo voluto fare un punto sulle vertenze in atto nella regione, ascoltando le testimonianze dei nostri delegati, ma anche di come si sta affrontando l’emergenza sanitaria nei luoghi di produzione, come negli ospedali o nelle strutture socio-sanitarie, dove a essere colpiti sono gli anziani, le figure più fragili ed esposte al virus", spiega il segretario generale della Confederazione pugliese Pino Gesmundo: "Nello stesso tempo illustrare le proposte della Cgil nazionale e regionale nel confronto con il governo da un lato e con la Regione dall’altro”.

Per la Cgil, “mentre si discute animatamente di Recovery fund e Mes, ci si è dimenticati del cuore della questione: che Paese immaginiamo, quale modello alternativo di crescita caratterizzato da lavoro sostenibile, stabile, potenziando servizi pubblici, riducendo il divario nel Paese”. Ma in primis è mancato proprio il dialogo sociale: “La bozza preparata dal governo, definita Piano di ripresa e resilienza, è il prodotto mal riuscito di un'elaborazione solitaria e autoreferenziale del capo del governo e di pochi altri, che denota l’assenza di un Progetto Paese. Una lettura attenta di quella bozza fa emergere contraddizioni, incongruenze e affermazioni di principio destinate a rimanere un capitolo di un libro dei sogni. Dove si evidenzia con maggiore drammaticità la marginalità che assume il Mezzogiorno in quelle proposte, al quale sono destinati solo quattro dei 209 miliardi. Non ci sono nel Piano progetti e programmi che riducano il divario con il Nord”.

Mortificati per la Cgil anche “capitoli che pure dovrebbero essere al centro delle attenzioni. Pensiamo alla sanità, in tutto nove miliardi per le strutture territoriali e della ricerca, quando sarebbero necessari almeno 60 miliardi per recuperare i disastri che sulla sanità pubblica sono stati fatti negli ultimi vent'anni”. Ancora, “al turismo e alla cultura sono destinati tre miliardi. Che sono pochi anche per una regione come la Puglia che nel turismo, la cultura, lo spettacolo, ha investito negli anni e rappresentano un asset straordinario di sviluppo territoriale, oggi al collasso”.

Sul piano infrastrutturale “scompare dall’orizzonte il completamento del raddoppio della linea adriatica, con l’eliminazione della strozzatura Termoli-Lesina che compromette la velocizzazione di tutta la linea, mentre la citazione della sempre presunta Bari-Napoli sta solo a testimoniare che l’idea di fondo esclude tutta la parte Sud dell’Adriatico dalle grandi direttrici del traffico, quindi dello sviluppo anche a favore dei mercati del bacino mediterraneo”.

Certo, il fondo europeo per la giusta transizione individua per l’Italia due interventi: Sulcis ed ex Ilva, “ma lì ci fermiamo. Nel complesso siamo molto lontani dalle proposte che la Cgil nazionale ha avanzato nel documento ‘Dall’emergenza al nuovo modello di sviluppo’. Si tratta di spingere e riqualificare la domanda interna anche con adeguati investimenti pubblici e scelte di politica industriale, capaci di assicurare la resilienza delle imprese e il passaggio al nuovo modello di sviluppo, di considerare il lavoro come valore, rivalutare i beni comuni, la tutela dell’ambiente, la cura del territorio, l’istruzione e la ricerca, la salute, un welfare più inclusivo, una riforma fiscale che incrementando la progressività riduca il peso fiscale sulle fasce più deboli”.

Anche in Puglia “Emiliano ha forse inizialmente pensato di archiviare la stagione del confronto con le parti sociali. Noi non ci siamo fatti mettere all’angolo e abbiamo continuato a costruire proposte e a supportarle con la nostra iniziativa insieme alle categorie e ai nostri territori e nella paziente costruzione di un rapporto unitario con Cisl e Uil. E il 14 dicembre scorso abbiamo avuto un primo importante incontro con il presidente della Regione dal quale, tra le altre cose, è scaturita la decisione di riattivare il dialogo sociale che affronti sistematicamente e con condivisione le grandi questioni che ci troveremo ad affrontare nel prossimo futuro in una cabina di regia permanente attivata presso la presidenza della Regione”. Tanti i temi e le priorità da affrontare, proprio a partire "dall’emergenza legata alla pandemia e ai suoi effetti sul sistema ospedaliero e sanitario, ma anche per affrontare i focus sulle rsa, sulla scuola e sui trasporti”, sottolinea Gesmundo. “Si tratterà, inoltre, di continuare il confronto già avviato in sede di partenariato sociale ed economico sulla nuova programmazione dei fondi comunitari 2021-2017”.

Per la Cgil “la Regione dovrà affrontare anche la fase post-Covid, non solo gli effetti della pandemia su un sistema produttivo basato sulle pmi e sulle piccolissime imprese, ma anche la sfida della transizione energetica e, in particolare, della tecnologia legata all’auto elettrica, che apre una grossa incognita sul futuro dell’automotive pugliese, sul futuro dell’ex Ilva e della centrale di Cerano, così come deve ridisegnare parte del suo modello agro-alimentare che il flagello Xylella ha sconvolto in interi territori regionali e che tuttora sembra non voler allentare la sua presa”.

“Dovremo ragionare - continua il segretario generale della Cgil pugliese - già dalle prossime settimane su come sostenere il sistema delle imprese che spingono sulla creazione di lavoro stabile, fare delle scelte sulle politiche di sostegno al reddito e sulle politiche attive del lavoro alle quali occorre legare la formazione, sapendo che su questi due versanti incontreremo forti resistenze. Progettare interventi per la manutenzione e la cura del territorio, sull’uso delle risorse idriche che sono parte integrante dell’economia”.

Così come a brevissima scadenza c’è l’appuntamento del 7 gennaio “per garantire il rientro sicuro a scuola di docenti e studenti, rafforzare il confronto coinvolgendo maggiormente anche il sistema del trasporto pubblico locale, perché è un pezzo importante della discussione. Così come, mentre la seconda ondata continua. recuperare il dialogo sull'emergenza sanitaria ma anche recuperare sul fronte delle tante patologie che hanno visto la sospensione delle cure a causa del virus; ripensare il rapporto con la medicina di base, il sistema delle convenzioni con il privato a partire dalle Rsa e dalle Rssa, così come vanno rafforzati i Dipartimenti di prevenzione territoriali”.

La forza della nostra proposta, conclude Gesmundo, “è che non ci siamo limitati a costruire una piattaforma regionale prima nostra e poi unitaria. L’abbiamo costruita insieme alle categorie e ai territori e su di essa abbiamo impiantato vertenze, attivato confronti e costruito iniziative. Quando il sindacato rivendica con orgoglio il suo ruolo di attore sociale è perché intende portare un contributo di analisi e proposte per la soluzione dei problemi. Perché non si proceda per improvvisazioni ma dentro una cornice strategica e progettuale che è la garanzia che le misure predisposte porteranno questo Paese e la nostra regione fuori dalla crisi”.