Il movimento per la pace italiano si prepara a una manifestazione nazionale di popolo, indetta per il prossimo 5 novembre a Roma. Più di 500 adesioni dal mondo dell’associazionismo, da sindacati e società civile. Sarà una giornata “apartitica”, hanno spiegato i promotori di Europe For Peace, presentando una piattaforma che avanza tre richieste: cessate il fuoco immediato tra Russia e Ucraina, una conferenza internazionale di pace sotto l’egida Onu e messa al bando delle armi nucleari. A Paolo Impagliazzo, segretario generale della Comunità di Sant’Egidio, tra le promotrici della manifestazione, chiediamo di spiegarne le ragioni. "Era necessario - spiega Impagliazzo - che il movimento per la pace riprendesse la parola. È venuto il momento di cambiare la narrazione di questa guerra, una narrazione che è arrivata a sdoganare persino lo scenario del conflitto atomico. È fondamentale opporsi all’idea che la guerra sia ineluttabile. Per questo la manifestazione del 5 novembre è più che mai importante. Abbiamo la speranza che il popolo della pace, che ha agito in maniera carsica durante la guerra in Siria, possa di nuovo far sentire la propria voce".

Qual è, tra le tre richieste della piattaforma, quella che le sembra più realizzabile concretamente?
Si deve riaprire un negoziato cui partecipi un mediatore. Cioè è necessario dare voce alla politica il prima possibile e nella maniera più autorevole possibile.

Si può essere un po’ più ottimisti, rispetto a qualche mese fa, sulle possibilità di questo dialogo tra nemici?
A me sembra che il negoziato diretto fra russi e ucraini instaurato all’inizio del conflitto si sia purtroppo fermato. Il che sottolinea la necessità di una mediazione terza. La mediazione per sbloccare l'export del grano ha funzionato, ed è un segnale positivo sulla possibilità di un dialogo, e ci dà anche fiducia, ci rende ottimisti che si possa andare avanti in un negoziato. Ma l’assenza di altre iniziative è preoccupante. Come è preoccupante il discorso sulle cosiddette armi “nucleari tattiche”. 

Quanto è alto il rischio di un'escalation nucleare nel conflitto?
Il livello di allarme sarà sempre e comunque troppo alto, finché si continuerà a parlare con tanta facilità di armi nucleari. Faccio fatica anche solo a immaginare cosa voglia dire “arma nucleare tattica”. È un pericoloso nonsenso. 

Lo scenario politico italiano come sappiamo è completamente cambiato. Riguardo alla guerra in Ucraina come crede che si comporterà il prossimo governo?
I cittadini italiani e non solo, i cittadini europei e direi di tutto il mondo, non capiscono più la guerra. Non la accettano. La nostra vita è proiettata su altro. La guerra è diventata vecchia, nel senso che non è più percepita come uno strumento di risoluzione. Lo spiega bene la nostra Costituzione. E credo che l’Italia abbia la possibilità di mettere in campo delle risorse politiche e diplomatiche per provare a risolvere il conflitto, insieme alla Ue e chiaramente alle Nazioni Unite. 

Antonio Guterres, il segretario generale dell'Onu, ha parlato di una coalizione mondiale
Esattamente. Per affrontare la questione della guerra in Ucraina, e le sfide climatiche e ambientali, bisogna mettere in campo uno sforzo diplomatico che tenga conto di un mondo complesso e interconnesso, con l’apporto di tutti. Non entriamo in polemiche sul ruolo della Nato o sull’atlantismo. Lo sforzo diplomatico per terminare la guerra deve avvenire sotto l’egida dell’Onu e della Ue.
 

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Qual è la situazione attuale in Ucraina dal punto di vista della Comunità di Sant’Egidio?
Sant’Egidio è presente in Ucraina dal 1991 con le proprie comunità locali, ha una rete molto diffusa in tutto il Paese. Siamo attivi nel sostenere le persone più vulnerabili con aiuti umanitari, medicine e materiale sanitario, che le comunità di Sant’Egidio da Italia e Europa continuano a inviare in Ucraina. Sant’Egidio è anche impegnata nell’accoglienza di tanti rifugiati e di tanti malati dializzati che, nonostante il crollo del sistema sanitario dovuto alla guerra, hanno bisogno di proseguire le cure. Oggi la situazione è molto difficile, per i tanti attacchi ripresi sulle città. 

Avete subìto attacchi anche voi?
Una nostra sede a Kiev è stata colpita dalle bombe, che hanno causato danni ma non feriti né morti. Noi comunque andiamo avanti nel sostenere le persone più vulnerabili e i malati. Soprattutto i senza dimora, gli anziani ricoverati in istituto, i bambini in orfanotrofio, i disabili. Queste persone hanno bisogno di essere seguite e aiutate, e il più delle volte sono troppo fragili per potersi muovere assieme agli sfollati interni. Le seguiamo a casa loro. Basta pensare a loro per capire l’urgenza di un negoziato e del cessate il fuoco. Dobbiamo permettere agli ucraini di tornare a vivere in pace. Non dimentichiamo, inoltre, che sette milioni di ucraini sono fuori dal Paese, hanno dovuto abbandonare tutto. Dobbiamo ridare un futuro a queste persone.