"Tutto normale mamma: noi avevamo le mascherine, la professoressa anche, e i bidelli ci aspettavano all'entrata col gel disinfettante". Per Eva (mia figlia, terza media in una scuola pubblica nel quarto arrondissement) la cosa più bella del primo giorno di scuola post-Covid è stato arrivare per prima nel cortile della scuola dopo 90 giorni di assenza ("Più lungo delle vacanze estive!"). Per il resto, due mesi di lockdown e un mese di Fase 2 hanno reso routine cose prima impensabili: i sensi unici nei corridoi, i banchi a distanza, i segni di pittura bianca per terra che indicano il metro e mezzo da non superare. La Francia ha cominciato a riaprire le scuole dal primo giorno della fase 2, ovvero l’11 maggio.

Una decisione fortemente voluta dal presidente Macron, nonostante le reticenze del più prudente premier Edouard Philippe e soprattutto di genitori e insegnanti. In quei giorni - Macron ha annunciato la riapertura il 13 aprile - le cifre dell’epidemia indicavano sì che il peggio era passato, ma che i morti erano ancora centinaia al giorno e i reparti di terapia intensiva ancora pieni. Il presidente però non ha dato ascolto né ai consiglieri scientifici né ai ministri più titubanti e si è imposto: "Riaprire le scuole è un imperativo sociale e pedagogico",  ha martellato, riferendosi in particolare a quel 5-7 per cento di bambini e ragazzi, dai più piccoli fino al liceo, che secondo le statistiche sarebbero "scomparsi dai radar"  della scuola a distanza, che pure ha funzionato a singhiozzo e con risultati molto altalenanti secondo le scuole, delle città e degli insegnanti. 

La ripresa è stata molto graduale e parziale, ma le scuole hanno riaperto. Hanno ricominciato prima le materne, poi le elementari, poi le medie, ma non subito nelle zone considerate ancora a livello di circolazione del virus come Parigi e non i licei. E soprattutto hanno ricominciato "su base volontaria": i genitori potevano scegliere di non rimandare i figli a scuola, gli insegnanti di non tornare con certificato medico. All’inizio la parola d’ordine dei più è stata: "Aspettiamo e vediamo come va". Ad avere più paura sono state proprio le famiglie che avrebbero avuto più bisogno di ritrovare la scuola, quelle più numerose, con condizioni di vita più disagiate, i cui figli hanno perso il contatto con gli insegnanti e la classe, i cosiddetti "bambini prioritari". "Nonostante le telefonate a casa sono loro ad essere più assenti", conferma la direttrice di una scuola materna nel centro di Parigi. Col passare dei giorni, le reticenze dei genitori si sono attenuate e sono cominciate ad allungarsi le "liste d'attesa" 

Il protocollo sanitario distribuito ai presidi prevedeva infatti norme molto rigide: uno spazio di precauzione di almeno 4 metri quadrati per banco, quindi classi con non più di dieci bambini alla materna e non più di quindici alle elementari e medie, sanificazione dei locali ogni due ore, mascherina per tutti gli insegnanti e per i bambini dai sei anni, corridoi, ove possibile, a senso unico, ai bagni scortati dai bidelli. Risultato, nella prima fase solo il 60 per cento degli insegnanti è tornato in aula e soltanto 1,8 milioni di bambini della materna e primaria (su 6,7 milioni) e 600mila ragazzi delle medie su 3,3 milioni. Però hanno ricominciato, al contrario dei colleghi più grandi dei licei, che sono stati privati di maturità (in Francia l’esame è tutto scritto) e sono tornati in aula soltanto in alcune regioni e quasi esclusivamente negli istituti professionali, per i quali la scuola a distanza si è dimostrata impraticabile.

Dal 22 giugno, in compenso, Macron ha suonato la campanella per tutti: fino al 4 luglio – ultimo giorno di scuola del calendario francese – il presidente rivuole in classe tutti e questa volta senza il beneficio del volontariato. Il protocollo sanitario è stato alleggerito, i 4 metri quadrati sono stati ridotti a "un metro laterale" di spazio tra i banchi. Presidi e insegnanti hanno dovuto rivedere tutto in una settimana: ricompattare i gruppi (le classi erano state divise in due, un gruppo la mattina e uno il pomeriggio, in genere per soli due giorni a settimana) e rifare tutti gli orari. Difficile fare un bilancio adesso, ad anno scolastico ancora in corso. Nessuno si fa illusioni: i programmi sono rimasti, se non a metà, pesantemente azzoppati. Impossibile pronosticare le ricadute sul contagio, anche se uno studio epidemiologico e il responso dei pediatri sembra indicare che i giovanissimi (fino a 15 anni) presentano una forma di "immunità incrociata" al Covid e, in caso di contagio, sono senza o con pochissimi sintomi e soprattutto molto poco contagiosi. La principale speranza è che queste ultime settimane dell’anno scolastico 2019-2020 serviranno a rendere più facile la ripresa del 2020-2021, a settembre.