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“La prima lettura del Piano nazionale di ripresa e resilienza non ci permette di esprimerci in maniera totalmente positiva e non solo per le questioni generali di mancanza di interlocuzione con il sindacato. Secondo noi il piano contiene tutti i titoli giusti e molti obiettivi condivisibili ma manca di valutazioni sulle ragioni che hanno prodotto nel nostro Paese le storture che lo stesso piano dovrebbe avere l’ambizione di risolvere. Ma, come dicevo, siamo solo a una prima lettura e nei prossimi giorni, come categoria abbiamo deciso di fare degli approfondimenti anche con contributi esterni per cogliere al meglio le sfide che il Pnrr rappresenta anche per il nostro ruolo di contrattazione”. La segretaria nazionale della Flai Cgil Tina Balì commenta così le misure contenute nel Pnrr.
Cosa manca a questo piano secondo la vostra organizzazione?
Quello che manca secondo noi è una visione sistemica, manca la connessione con il Piano Strategico nazionale, con la futura Politica Agricola Comune 2023-2027 e con i Fondi di sviluppo e coesione, le diverse misure sono pezzi slegati tra loro, dal punto di vista delle politiche ma anche delle risorse. Qual è filo conduttore degli investimenti non è chiaro. Un investimento è buono se determina un cambiamento misurabile innanzitutto in termini di quanti occupati in più e di quanti lavoratori e lavoratrici sfruttati e a volte schiavizzati in meno ci saranno alla fine, altrimenti è spesa, non investimento.
Ci sono alcune missioni che sono di vostro particolare interesse. Si può fare di più?
Le misure riguardanti i nostri settori sono per lo più inserite all’interno della cosiddetta Missione “Rivoluzione Verde e Transizione ecologica”, alla componente “Economia circolare e agricoltura sostenibile” a cui è riservato giustamente il ruolo di perseguire la sostenibilità ambientale e sociale per rendere l’economia sia più competitiva che più inclusiva, garantendo un elevato standard di vita e riducendo gli impatti ambientali. Si riconosce al comparto agricolo il valore di risorsa strategica stanziando circa 7 miliardi, da indirizzare su investimenti che vanno dalla logistica alle energie rinnovabili, dall’innovazione ai contratti di filiera, ma sul tema lavoro non ci siamo! Se parliamo di sostenibilità sociale, il nodo centrale deve essere il lavoro, quello stabile, qualificato e innanzitutto sicuro. L’altra criticità è la mancanza di ambizione, che dovrebbe essere quella di una vera e propria “Strategia nazionale per un sistema agricolo, alimentare, forestale, sostenibile e inclusivo” se il nostro Paese ha realmente voglia di affrontare le sfide lanciate a livello europeo: dal Green Deal e dalle Strategie Farm to Fork, dalla Strategia sulla Biodiversità per il 2030 e da Azione Climatica e da Agenda 2030 delle Nazioni Unite. La Strategia dovrebbe rappresentare la cornice a cui fare riferimento in forma integrata e complementare di tutte le risorse finanziarie disponibili: Pac, Pnrr, Fondi Europei e delle politiche nazionali e regionali.
Cosa servirebbe per dare corpo a uno sviluppo davvero sostenibile e inclusivo?
Per affrontare adeguatamente gli obiettivi di sostenibilità e inclusione è necessaria una visione d’insieme delle sfide che attendono il sistema agricolo, alimentare, forestale e delle aree rurali perché la portata strategica dei nostri settori è chiaramente connessa alla pluralità delle cosiddette esternalità positive e ai beni e servizi pubblici generati. Tanto per fare un esempio si deve alla presenza del mondo agricolo nei territori la possibilità di conservare e realizzare paesaggi rurali, alla possibilità di presidiare le aree interne del nostro paese e pensiamo anche all’incremento della biodiversità derivante dalle tecniche agricole senza uso di concimi o fitofarmaci, agli impatti positivi sull’ambiente per una corretta gestione dell’uso della risorsa idrica o al ruolo dei lavoratori forestali e dei consorzi di bonifica per la tutela del territorio, per la prevenzione e la lotta contro il dissesto idrogeologico. Insomma, ai settori agricolo, alimentare e forestale si devono fondamentali funzioni produttive per l’intero sistema economico, di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico, di tutela e protezione del territorio e del paesaggio e del patrimonio della biodiversità e anche di un tema di cui si parla sempre più, la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare.
E nello specifico dei vostri settori?
Venendo alle specificità per i nostri comparti, quello agricolo, forestale e del settore alimentare secondo noi nel Pnrr rimangono inevase alcune domande e necessità, che senza investimenti non solo economici ma anche normativi e legislativi, non possono essere risolti. Da questo punto di vista pensiamo ci siano numerosi segnali positivi ma attendiamo le opportune sedi di confronto per capire con quali gambe poi il piano camminerà sul territorio italiano.
Delusi?
Ci saremmo aspettati più coraggio nel chiarire le priorità e gli scenari e come dicevo prima di come ai finanziamenti corrisponda occupazione e una vera lotta allo sfruttamento. Dopo anni di lavoro e di rivendicazione della categoria, in Italia ora c’è una legge contro lo sfruttamento che è la L. 199, ma non basta, ora sulla Pac stiamo facendo in Europa una battaglia per ottenere la condizionalità sociale, cioè che i finanziamenti siano vincolati al rispetto dei diritti dei lavoratori, all’applicazione dei contratti e al rispetto delle leggi, questo deve valere per tutti i finanziamenti previsti nel Pnrr. Sennò siamo alla solita vecchia ricetta di soldi a pioggia dati al mercato e di un mondo del lavoro sempre più povero e fragile. Inoltre, il tema dell’agricoltura e della tutela ambientale nel Pnrr sono da connettere alla visione organica dei tanti finanziamenti che caratterizzano i settori e su questo chiediamo chiarezza. L’agricoltura è direttamente finanziata dalla Pac il cui funzionamento futuro è in fase di regolamentazione; abbiamo però importanti finanziamenti in questo campo anche nel Psr, il cui compito dovrebbe essere lo sviluppo rurale, l’Fsc e altre voci ancora sono preventivate nel Pnrr. Ecco senza una coerenza e una condivisione degli obiettivi rischiamo dei corto circuiti schizofrenici. Basti pensare che viene contemporaneamente finanziato il fotovoltaico sulle coperture aziendali, che garantirebbe un ammodernamento degli impianti e contestualmente il fotovoltaico a terra che consumerebbe ancora altra Superficie Agricola Utilizzata. Questi sono meccanismi che bloccano gli ingranaggi dello sviluppo. Lo stesso vale per i finanziamenti sulla biodiversità e il benessere animale. Non si possono finanziare obiettivi diversi con diversi fondi e, ahinoi, l’impressione è che il Pnrr non solo non chiarisca alcune ambiguità del nostro sistema ma ne acuisca gli effetti negativi sull’economia reale.
Di vostra competenza è anche un altro elemento: la tutela del territorio. Su questo fronte è stato previsto abbastanza?
Sulla tutela del territorio il punto di vista è pressoché identico: l’impostazione della prima stesura oltre ad una maggiore disponibilità economica era previsto anche un importante investimento normativo nel campo della forestazione e della lotta al dissesto idrogeologico adducendo la disponibilità di risorse in questo campo nel pianeta dello sviluppo rurale. In un piano il cui titolo principale è “ripresa e resilienza” appare una contraddizione non individuare un investimento stabile e strutturale. Poniamo un’ulteriore domanda su un tema che sta particolarmente a cuore alla nostra categoria: come si può continuare a finanziare interventi per la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici, in forestazione e lotta al dissesto idrogeologico se non si promulga finalmente una legge moderna sul blocco del consumo del suolo? Anche questo aspetto per noi dicotomico deve avere una risposta, ma questo lo vedremo nelle prime disponibilità di confronto che ci auguriamo si presenteranno. Inoltre, manca un aggiornamento della mappa delle aree interne, i fondi a disposizione sono derivanti in grossa parte dal nuovo settennato di programmazione europea e da disponibilità della precedente finanziaria e i progetti in fase di finanziamento non rilanceranno i territori isolati o in ritardo di sviluppo ma serviranno esclusivamente a mitigare l’assenza di 30 anni di politiche pubbliche su sanità, istruzione e viabilità. Per dare un input che inverta la tendenza dello spopolamento e impoverimento di alcune aree del nostro paese avremmo avuto bisogno di ben altri investimenti. Concludo dicendo che il Pnrr può essere un’occasione che non può essere sprecata e noi non lo consentiremo.