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Per chiunque si occupi di libri, la morte di Ernesto Ferrero lascia un vuoto enorme, ben difficile da colmare. La sua persona, la sua figura, il suo spessore intellettuale, si sono offerti con gentilezza e generosità attraversando oltre mezzo secolo della storia della cultura, non solo italiana, marcando un segno indelebile e seminando nel tempo innumerevoli e rigogliosi frutti.
Gli esordi nel mondo editoriale, risalenti agli inizi del decennio Sessanta, già disegnano i contorni di quello che sarà un percorso unico nel suo genere, che dall’ufficio stampa di Einaudi, il suo primo contratto per la casa editrice di via Biancamano, nel cuore dell’amata Torino, giungerà alla direzione editoriale dello Struzzo, oltre ad altre collaborazioni con i più importanti gruppi editoriali, sempre con lo sguardo rivolto anche al resto del mondo, in particolare la Francia: non per caso, della sua attività di traduttore rimane insuperata la versione a lui affidata del Viaggio al termine della notte di Cèline, entrata di diritto nella storia della letteratura degli ultimi decenni.
Rimane poi, per tutti noi, l’ineguagliabile lavoro compiuto in qualità di direttore artistico del Salone del libro di Torino, incarico ricoperto per oltre un ventennio, tra molte gioie e qualche sofferenza, in particolare quelle vissute in un paio di circostanze legate alla difficile situazione economica e progettuale dell’evento, superate grazie a un senso di praticità mai disgiunto da una visione aperta a nuove prospettive, a sollecitazioni culturali tra loro diverse, all’identica attenzione dedicata ai grandi autori come agli scrittori esordienti.
Rovistando nel tempo, tra i molti emerge un piccolo ricordo personale. Sarà difficile dimenticare la grande disponibilità mostrata per la proposta di una lettura teatrale dal titolo In due. Storia di Ada e Piero Gobetti, entrambi figure, inutile aggiungere, a lui molto care. Una proposta arrivata da un perfetto sconosciuto, alla fine ospitata in una delle sale più capienti del Salone del libro, dopo un assiduo scambio di mail; quella stessa sala che, nel giorno e nell’orario previsti, trovò il direttore Ferrero seduto in prima fila, la camicia bianca, l’immancabile rosa di carta sul vestito scuro, pronto ad assistere all’intero spettacolo per poi salutare e ringraziare con leggerezza e cortesia, malgrado le presentazioni e gli appuntamenti tra gli stand del Lingotto imperversassero a getto continuo, e ben più importanti.
Molto si dovrebbe ricordare anche dello scrittore (e critico letterario) Ernesto Ferrero, ma può bastare soltanto tornare alla vittoria dell’edizione del Premio Strega nell’anno 2000 con N, quei trecento giorni all’Elba di Napoleone raccontati con gli occhi di Martino Acquabona, indigeno nominato bibliotecario dell’imperatore esule; o il recente Album di famiglia (2022), la privata galleria di ritratti resa pubblica ai suoi lettori, che dai grandi editori (Garzanti, Inge Feltrinelli, Roberto Calasso, Elvira ed Enzo Sellerio, naturalmente Einaudi) giunge alla descrizione dei grandi della letteratura, un olimpo ineguagliabile un nome dopo l’altro.
Rassegna che si apre con Italo Calvino, tra i più intimi insieme a Primo Levi: non sarà dunque un semplice vezzo del destino che l’ultima sua fatica, portata avanti con le poche forze rimaste, alle stampe nemmeno un mese fa, abbia per titolo Italo, la biografia del più geniale dei nostri contemporanei, in quanto ancora contemporaneo, raccontato con la premurosa confidenza che solo una profonda amicizia può raggiungere, anche in virtù di un tratto di penna ormai raro.
In questo periodo oscuro, caratterizzato dalla spasmodica e puerile ricerca di un’egemonia culturale rivendicativa, e fine a se stessa, l’immagine accogliente e illuminata di Ernesto Ferrero non può che abitare altri pianeti.