Mentre l’Inps continua a negare le prestazioni di welfare agli immigrati, regolarmente presenti in Italia, la giustizia, su sollecitazione dell’Inca, fa il suo corso segnando un orientamento ben diverso. Sull’argomento, l’attività di contenzioso del patronato Cgil acquisisce altri due risultati importanti. Il primo è un’ordinanza emessa dal Tribunale di Padova con la quale si accoglie il ricorso promosso da una cittadina moldava contro la decisione della sede locale dell’Inps di negarle il bonus natalità (bebè), perché in possesso di un semplice permesso di soggiorno per motivi di “lavoro subordinato” e non del titolo per lungosoggiornanti.

Il secondo risultato, ancora più rilevante, consiste in un’ordinanza della Corte Costituzionale riguardante il mancato riconoscimento dell’assegno di maternità dei Comuni. Entrambi i dispositivi affermano che è discriminatorio subordinare il riconoscimento delle prestazioni di welfare al possesso del permesso di lungo periodo. In particolare, il Tribunale di Padova ha ritenuto infondate le motivazioni dell’istituto previdenziale. La sentenza, giudicando il comportamento dell’Inps di “natura discriminatoria”, richiama la Direttiva 2011/98/Ue e in particolare l’articolo 12, laddove si precisa che i cittadini di paesi terzi ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi devono beneficiare dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto attiene alle prestazioni di “sicurezza sociale”, come definite dal Regolamento 883/04, fra le quali sono inserite quelle a sostegno di “maternità e paternità”.

Sempre secondo il Tribunale di Padova, la norma è “precisa e incondizionata” e non ha bisogno per essere applicata di “una norma interna che la recepisca”, determinando la “disapplicazione” di qualunque provvedimento legislativo che si ponga in contrasto con essa. Non solo. Il tribunale aggiunge che condizionare il beneficio del bonus natalità al possesso del titolo per lungosoggiornanti crea una “insanabile disparità di trattamento” fra italiani e stranieri. “È infatti evidente – precisano i giudici, facendo proprie le osservazioni della Corte Costituzionale in tema di “invalidi civili” – che la necessità del permesso di lunga durata, rilasciato solo a particolari condizioni, viene di fatto a introdurre requisiti ulteriori richiesti ai cittadini stranieri, incompatibili con la funzione di sostegno economico e familiare caratterizzanti la prestazione di cui sopra”. Sulla base di queste motivazioni viene pertanto riconosciuto il diritto ai ricorrenti, anche con titolo di breve durata a percepire il bonus natalità pur sprovvisti del permesso per lungosoggiornanti.

Dopo il Tribunale di Padova, è toccato alla Corte Costituzionale esprimersi su alcune eccezioni di costituzionalità sollevate dai Tribunali di Reggio Calabria e di Bergamo, sollecitate ancora una volta dall’Inca, riguardanti il mancato riconoscimento dell’assegno di maternità rilasciato dai Comuni, nel primo ricorso, ad alcuni cittadini di diverse nazionalità (Burkina Faso, Ghana, Marocco) e nel secondo a una donna eritrea, con un permesso di soggiorno per motivi umanitari. In entrambi i casi, l’Inps ha negato il beneficio, facendo leva sullo stesso criterio adottato per la donna moldava a Padova, ma la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile tale condotta, anche “per omessa considerazione del diritto comunitario o nazionale da parte dei giudici ricorrenti”.

La Consulta ha richiamato il rispetto di diversi articoli della Costituzione italiana, della stessa Direttiva europea, dei singoli Trattati europei, nonché della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue e degli Accordi euro-mediterranei, laddove si sttabilisce il principio per cui le prestazioni assistenziali devono essere riconosciute anche ai cittadini stranieri regolarmente soggiornanti con in possesso titolo di soggiorno “semplice”. “La pronuncia della Corte Costituzionale – spiega Claudio Piccinini, coordinatore uffici immigrazione Inca – si salda dunque con la sentenza del tribunale di Padova. Anche se le prestazioni da cui muovono i giudizi sono diverse – assegno di maternità in un caso, assegno di natalità nell’altro –, è identico il ragionamento giuridico utilizzato per rimuovere le discriminazioni ai danni di titolari di permesso di soggiorno semplice”.

Per il patronato Cgil, il caso di Reggio Calabria è particolarmente interessante, perché si riferisce a una donna titolare di permesso di soggiorno per motivi umanitari, una condizione sempre più diffusa fra gli stranieri, ma normalmente poco considerata, perché di natura “temporanea”. La Corte, in questo caso, ha osservato come il giudice rimettente non abbia considerato l’articolo 34, comma 5, dlgs n. 251, che “riconosce agli stranieri con permesso di soggiorno umanitario i medesimi diritti attribuiti dal decreto stesso ai titolari dello status di protezione sussidiaria, tra i quali, ai sensi dell’articolo 27, comma 1, è annoverato il diritto al medesimo trattamento riconosciuto al cittadino italiano in materia di assistenza sociale e sanitaria”.

“L’insieme di queste pronunce rappresenta un orientamento giurisprudenziale coerente e di grande valore – spiega ancora Piccinini –, che ci spinge ad andare avanti nella nostra attività di tutela dei diritti dei migranti fino a quando l’Inps non rivedrà le sue posizioni, peraltro ancora una volta riconfermate nell’ultima circolare applicativa per il riconoscimento del premio alla natalità introdotto con la legge di bilancio 2017. Una decisione grave, contro la quale abbiamo già depositato presso il Tar del Lazio un altro ricorso”.