PHOTO
Sarà sciopero generale. È inevitabile quando di fronte hai un governo autoritario e arrogante. Un governo che, oltre a essere il rappresentante del paese, è anche il più importante datore di lavoro, quello che dovrebbe dare il buon esempio di relazioni corrette con i propri dipendenti e le loro rappresentanze. Ma il lavoro viene concepito da Renzi come merce, spogliato di diritti, autonomia e libertà. Da fattore di emanicipazione umana e sociale viene ridotto a un puro fattore di costo e piegato al potere unilaterale delle imprese o della dirigenza nei settori pubblici. Il Presidente del Consiglio, così sollecito a coinvolgere l’opposizione nella stesura della riforma elettorale, è, al contrario, incredibilmente sprezzante quando si tratta di confrontarsi con i sindacati che pure rappresentano milioni di persone.
È convinto davvero Matteo Renzi che la continua esibizione muscolare faccia bene al paese? Sarà sciopero generale e di certo il governo se ne farà una ragione. Ma le ragioni dei lavoratori sono tante e le abbiamo presentate in tutte le forme, insieme a molte proposte, tutte utili e tutte fattibili. Tanto che alcune sono state inserite dentro il piano per la buona scuola. E devo dire che sono le uniche cose buone di quella proposta che sa molto di spot pubblicitario privo di visione strategica e di risorse. Anche nei comparti della conoscenza si vogliono imporre competizione individuale, controllo gerarchico e restringimento degli spazi di democrazia piegando i saperi agli interessi del mercato e delle imprese. L’autunno è iniziato all’insegna del conflitto per tutto il mondo del lavoro e per i settori pubblici in particolare. Non poteva essere diversamente.
L’ultima provocazione è l’ennesimo blocco dei contratti pubblici. Nei settori della conoscenza i contratti sono scaduti il 31 dicembre 2009. Da allora non solo non ci sono stati aumenti di retribuzioni (come è noto, molto basse), ma si è tentato continuamente di bloccare anche gli scatti di anzianità e la contrattazione decentrata che consentivano incrementi salariali, progressioni di carriera e valorizzazione professionale. Il blocco delle anzianità nella scuola ha tolto l’unico riferimento contrattuale all’esperienza professionale. Salvo poi recuperarlo in parte a danno del fondo di istituto che finanziava l’ampliamento dell’offerta formativa e dunque “premiava”, tra l’altro, il maggiore impegno del personale. Nei settori della conoscenza c’è un’emergenza salariale che non è stata compensata dai famosi 80 euro. Il rinnovo del contratto è una priorità. Ma non si tratta solo di retribuzioni.
È lo strumento migliore per leggere il lavoro che cambia e per dare gambe alle necessarie riforme di cui, soprattutto nella scuola, c’è bisogno. Bisogna ripartire dal valore del lavoro per migliorare la qualità del sistema dell’istruzione e della ricerca. Dunque va cancellata la precarietà nelle scuole pubbliche e private, nelle università, nella ricerca, nella formazione professionale. Lo spieghiamo nel dettaglio nell’articolo centrale di questo dossier, dove confrontiamo le nostre proposte con quelle del governo e diamo conto della consultazione che abbiamo condotto nella categoria, con gli attori della scuola. Le nostre priorità, quelle che abbiamo portato alle manifestazioni del 25 ottobre e dell’8 novembre e che porteremo allo sciopero del 12 dicembre, le abbiamo illustrate anche alla ministra Giannini. Le leggerà? Ce lo auguriamo perché nascono dalla realtà quotidiana e ne rappresentano le emergenze.
La Flc Cgil intende allargare il fronte delle alleanze e costruire vaste coalizioni sociali tra lavoratori della conoscenza, studenti, precari e movimenti per affermare il nesso inscindibile tra un diverso modello di sviluppo e diritto allo studio, al lavoro e al reddito. Il contratto, lo accennavo prima, è la cosa più importante ed è lo strumento per ridiscutere i carichi di lavoro, per garantire parità di diritti e salari tra precari e “stabili”, per contrattare i regimi degli orari, le modalità di valorizzazione professionale, le forme e le finalità della valutazione. È lo strumento più flessibile e più condiviso per farlo. Disciplinare il lavoro per legge è operazione arretrata, autoritaria, ingabbia il lavoro in una rete burocratica e rigida. Altro che modernità. E inoltre la scuola non vive solo sul lavoro docente, che ne è indubbiamente la parte più importante, ma sarebbe inefficace senza il sostegno di un’intera struttura, diciamo così, tecnicoamministrativa che contribuisce al raggiungimento degli obiettivi educativi e formativi.
Una riforma della scuola ambiziosa come quella descritta dal piano del governo non si fa a costo zero. I tre miliardi promessi sono una goccia nel mare, quando si auspica una scuola piena di computer e laboratori, dove la multimedialità innova la didattica, inserimento di nuove discipline, potenziamento delle lingue straniere. Questo comporta investimenti in innovazione e formazione e aggiornamento professionale. Lo sanno Renzi e Giannini che molte scuole sopravvivono solo per la generosità delle famiglie? Che finanziano la scuola dell’obbligo, quella che lo Stato ha il dovere di garantire gratuitamente. E siamo radicalmente contrari alla sostituzione delle risorse pubbliche con quelle private. Vogliamo difendere fino in fondo la laicità e la libertà d'insegnamento sancite nella Costituzione. Meno chiacchere e meno hashtag e più disponibilità all’ascolto e al confronto. Questo ci aspetteremmo da un governo che volesse davvero cambiare.
* Segretario generale Flc Cgil