“La Cgil si sta muovendo da tempo per creare una cultura sindacale sui temi dell'innovazione. È un patrimonio partito con il progetto Idea Diffusa che coinvolge imprenditori e intellettuali, sfociato poi nel posizionamento politico-sindacale della conferenza di programma di Milano in vista del congresso. La nostra idea di fondo è chiara: bisogna governare i nuovi processi tramite la contrattazione, come sempre è stato anche nel passato”. Così il segretario confederale della Cgil Vincenzo Colla in un'intervista a Rassegna Sindacale.

Rassegna Partiamo dal caso Amazon, dove un algoritmo detta i tempi di una vera e propria catena tayloristica. Qui è cominciata una battaglia che sta dando i primi risultati. Com'è andata?

Colla La reazione dei lavoratori italiani, insieme ai sindacati, è stata splendida. Pochi lo sanno, ma si è aperta una trattativa che ha consentito un passaggio di massa a qualifiche superiori. Poi non hanno coinvolto il sindacato su alcune cose, però hanno dato risposte. Come spesso accade nelle grandi vertenze, l’imprenditore non ti vuole riconoscere ma capisce che il suo modello non regge. L’altro tratto è che lo sciopero è stato fatto dai lavoratori che hanno i diritti, quelli assunti a tempo indeterminato, i quali sono andati dai colleghi in somministrazione a dire “non preoccupatevi, voi potete entrare perché ci pensiamo noi”. Ecco l'altro tratto: non puoi includere i più deboli se prima non hai convinto quelli più forti a mettere dentro tutti. Guardate che non è facile, non funziona sempre. Ma questo è il ruolo del sindacato e della Cgil anche nel futuro.

Rassegna Proviamo ad allargare la riflessione. Non ti sembra paradossale che le infinite potenzialità della tecnologia producano poi queste distorsioni? È quasi come se l’innovazione riguardasse solamente la produzione...

Colla Il problema non è la tecnologia, che può essere utilissima, ma come viene utilizzata per concentrare la ricchezza nelle mani di un’oligarchia che possiede il potere economico, i big data, e polarizza il mercato del lavoro. C'è una totale mancanza nel governare questa forza dirompente. Perciò è fondamentale che la politica si occupi della redistribuzione. Quando ci fu la Rivoluzione industriale, l'Europa diventò grande perché fece la mediazione tra capitale e lavoro creando il welfare tramite la più grande opera di redistribuzione che sia mai stata fatta. Oggi serve un nuovo welfare collegato ai meccanismi innovativi, altrimenti salta la coesione sociale. Come possiamo reggere, altrimenti, se a Apple basta mettere una ragione sociale in Irlanda per pagare sugli utili lo 0,5 per cento, mentre il lavoro è tassato al 30? Quindi il primo punto, ripeto, è un'idea di redistribuzione, anzi direi un'idea-cultura di sinistra della redistribuzione. Ne abbiamo davvero bisogno. Secondo punto, arrivando a noi: è evidente che la polarizzazione ha effetti negativi anche sui territori. Guardiamo cosa accade nel nostro sistema produttivo, dove abbiamo perso il 25 per cento di manifatturiero. Chi ha fatto investimenti in tecnologia ed è in grado di stare nel mondo, non ha mai guadagnato così tanto. Ma è solo il 30 per cento delle imprese. Noi dobbiamo pensare a come rimettere dentro quel 70 per cento rimasto fuori, ma abbiamo un problema di tenuta degli organici perché la tecnologia, per la prima volta, cerca di sostituire anche l’intelligenza delle persone, mentre nel passato le affiancava. Ecco la necessità di un governo sociale di questo fenomeno.

Rassegna Viene alla mente il recente accordo tedesco sulle 28 ore settimanali. Come lo giudichi?

Colla Oltre alla ricchezza bisogna redistribuire il lavoro e gli orari. L’accordo fatto in Germania con i metalmeccanici della Ig Metall è molto importante. Loro sono un po' più avanti di noi e si stanno già ponendo il tema della saturazione degli investimenti, il che comporta un grosso problema di esuberi. Per cui si sono accordati sulla gestione degli orari e lo hanno fatto in modo intelligente, dando la libertà alle persone di scegliere. È una grande innovazione, un punto del futuro per il sindacato che io sposo in pieno. Ovviamente, se si apre una discussione tra Francia, Germania e Italia per posizionare il governo sociale dell'innovazione, si deve fare insieme, non possiamo lasciare questa cosa in mano solo ai tedeschi. Faccio un esempio: la Commissione Europea ha dato mandato a Prodi di fare il progetto sociale, ma non l’ha discusso con le organizzazioni sindacali. Noi intanto andiamo a Goteborg come Ces a fare il nostro progetto sociale, ma così non può funzionare. Dobbiamo stare nei processi decisionali, dobbiamo essere un soggetto contrattuale rispetto alla Commissione europea e fare un nuovo patto di governo dell'innovazione in Europa e a cascata in tutti i Paesi. Altrimenti siamo inadeguati rispetto a questi processi e loro continuano a polarizzare.

Rassegna Quello che descrivi è un sistema che produce povertà. Ma perché siamo arrivati ai “lavoretti”?

Colla In realtà i lavoretti ci sono sempre stati, da là si passava per entrare nel mondo del lavoro. Se oggi nel manifatturiero ancora è così in qualche caso, perché dove c’è sostanza riusciamo a fare la contrattazione positiva, nel terziario “povero” accade sempre il contrario: ormai si passa regolarmente dal lavoro ai lavoretti. È una bolla che si allarga in cui dentro c’è di tutto, ci sono gli appalti, le filiere, e va ben oltre la tecnologia. Pensiamo allo scontro che come Cgil abbiamo fatto alla Castelfrigo: lì si lavora di coltello e si disossano i prosciutti, non c’entra niente l'innovazione. Ma abbiamo di fronte le false cooperative, un committente che scarica i costi sulla filiera, prende ragazzi e li fa diventare soci-lavoratori perché pur di lavorare accettano di tutto, anche i voucher. Così ci scavalcano in un girone dantesco senza rappresentanza. Lo dobbiamo ribadire alla politica quando parliamo di diritti: senza la rappresentanza, senza la mediazione, la gente tira addosso alle istituzioni. È un fatto di tenuta. Poi non ci meravigliamo se la gente non va a votare, se è così rabbiosa, se sta a destra, o se i poveri diventano fascisti.

Rassegna Ci sono quindi responsabilità della politica per tutto questo?

Colla La politica non è più strutturata e organizzata. Ha perso le antenne per capire cosa succede nei luoghi di lavoro. Il più delle volte se lo fa raccontare da un imprenditore, qualche volta da un sindacalista, senza mai fare una valutazione generale. Però attenzione: non facciamo l'errore di tirare addosso alla politica a prescindere. In questa grande rivoluzione abbiamo quanto mai bisogno di un soggetto in grado di mediare, altrimenti è ovvio che si finisce nel populismo o nell'astensione. È debole la politica, sono deboli le istituzioni. Perciò dobbiamo riprogettare il “pubblico”, ripristinare il patto generazionale, mettere dentro le competenze

Rassegna Tornando ai lavoratori della sharing economy. Se nel caso di Amazon è stato più agevole organizzare una battaglia – c’è un luogo fisico come fu per i call center qualche anno fa – per i nuovi fattorini di Foodora o gli autisti di Uber non sembra altrettanto facile. Cosa può fare il sindacato per loro?

Colla Oggettivamente il sindacato lì è in difficoltà. Prendiamo quei ragazzi di Foodora, quelli che hanno fatto una reazione a Milano. Sapete cosa è successo? L’algoritmo li ha immediatamente disconnessi, li ha cancellati. Appena ti avvicini, li fanno fuori. Ecco perché è fondamentale governare questo dumping a livello perlomeno europeo. Torno al ruolo del pubblico e della politica, che insieme alle forze sociali devono garantire una vita dignitosa. Alcune sentenze positive – vedi Uber – stanno arrivando: un giudice ha stabilito che gli autisti non sono imprenditori di se stessi, e che il loro lavoro è subordinato. Intanto, però, il sindacato può andare a coprire tutti quelli che stanno sulla filiera, tutta la precarietà che riguarda milioni di persone. Iniziamo a mettere dentro questi lavoratori, e poi impegniamoci insieme alla politica per fare operazioni anche legislative.

Rassegna In prospettiva bisogna anche capire su quale tipo di impresa tecnologica il Paese deve investire. Quali sono le priorità secondo te?

Colla Oggi nel mondo competono i sistemi territoriali, ormai è evidente, per cui dobbiamo puntare sul contesto sociale. Per fare innovazione, ad esempio, c'è bisogno che funzioni la filiera dell'istruzione, dalle scuole elementari all'università, della sanità, di un sindaco in grado di governare bene. Sapete perché la Philip Morris ha fatto un investimento da noi? Perché c'erano tre condizioni: l'acqua, la garanzia dello smaltimento dei rifiuti speciali, e poi perché c'era la potenza elettrica, oltre ovviamente alla professionalità dei lavoratori. Non gli importa niente dell'articolo 18. Ma per dare queste tre cose devo avere un buon sistema territoriale, altrimenti l'investimento va da un'altra parte.