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Con la Carta e i referendum “sappiamo di aver osato molto, ma dovevamo farlo. E abbiamo avuto un primo grande risultato: nel paese finalmente si ragiona di lavoro, delle sue frontiere possibili e impossibili. Abbiamo raccolto un bisogno forte e diffuso: quello di reagire a una situazione che non va bene”. Così Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, nel suo intervento conclusivo nel corso dell’Assemblea generale delle Camere del lavoro del sindacato di corso d’Italia. Un intervento denso, a tutto tondo, che ha toccato la posta in gioco della campagna dei prossimi mesi per i referendum e la Carta dei diritti universali del lavoro proposti dalla Cgil, e che è quella di agire sulle profonde ferite che attraversano il paese. A cominciare da quelle “materiali” delle popolazioni colpite dal sisma – più volte citate insieme all’abnegazione dei lavoratori pubblici impegnati nei soccorsi – fino a quelle più nascoste dei divari e delle, appunto, diseguaglianze che crescono a ritmo costante.
“Abbiamo osato perché non bastano più le cose pur importantissime fatte e che continuiamo a fare – ha detto Camusso –: i tanti contratti rinnovati, l’accordo sul modello contrattuale, il verbale sulle pensioni, gli accordi con i quali abbiamo salvato tante aziende e tanti posti di lavoro”. Mettere “cerotti sulle ferite non è più sufficiente”. Serve una diga, un argine al lavoro degradato. E proprio questo, ha ribadito, rappresentano i referendum su voucher o appalti: un argine, un limite per impedire che continui ad allargarsi il divario tra chi ha e chi non ha.
“Ma per unire questo fronte dobbiamo partire da quelli che oggi sono gli ultimi, i lavoratori ridotti così grazie alla liberalizzazione dei voucher e togliendo la responsabilità solidale negli appalti”. Insomma: “Non basta più fermare il Jobs Act con la contrattazione, ci vuole una radicalità nel riformare e i princìpi fondamentali non possono essere messi in dubbio”.
“La parola diseguaglianza, infatti, è tornata a essere presente in modo massiccio nel nostro paese. Tanto, troppo presente nei convegni, ma poco nelle politiche che si fanno in concreto. La disoccupazione giovanile, per esempio, continua a essere il grande problema italiano, ma è pressoché ignorata dalle politiche che si attuano”, ha detto rivolta alla platea la numero uno della Cgil.
“Non si può guardare a quello che accade non solo in Italia ma nel mondo, al degrado crescente proprio a partire dal lavoro pensando che tutto questo sia inevitabile – ha aggiunto –. Bisogna avere l’ambizione di invertire i fattori: finora sono state fatte politiche nelle quali il lavoro era una merce che doveva costare meno, ma tutto ciò non ha migliorato nulla. Né le condizioni dei lavoratori, né l’economia”. E allora, ha scandito Camusso, “la sfida è ripartire dal lavoro di qualità e riconosciuto, non solo per i diritti dei lavoratori, ma perché pensiamo che solo così il paese potrà star meglio: è lo spirito del primo articolo della Carta universale dei diritti del lavoro”.
Per questo, proprio perché i bisogni e le richieste di uguaglianze aumentano, ha ribadito la leader della Cgil, “si può conquistare il quorum e la fiducia di tutti quegli italiani che sentono di non star bene. Partiamo da noi: abbiamo una straordinaria platea di generosi militanti, 200.000 persone: affidiamoci alla loro la capacità di fare la campagna per diritti e referendum”.
Quella che si pone sul tavolo in questi mesi è anche una sfida “a chi pensa che con la modernità non c’è più bisogno di sindacato e rappresentanza. Ed è una sfida, però, anche a noi, che spesso diamo per scontata la nostra rappresentanza”. Anche a ragione, visti i numeri rilevanti dal punto di vista organizzativo della Cgil, ma ricordando “che il mondo in cui siamo è sempre più piccolo nel grande universo del lavoro attuale. Dobbiamo ogni giorno aggregare forze nuove. Non va dimenticato che tutte le grandi conquiste realizzate negli anni, a partire dallo Statuto dei lavoratori, sono state rese possibili proprio dall’allargamento della base della rappresentanza: ripartiamo da lì, sapendo che c’è tanto lavoro da fare nei luoghi di lavoro ma anche fuori, perché un numero sempre maggiore di persone lavorano fuori da quei perimetri tradizionali”.
Per questo, ha sottolineato la dirigente sindacale, “fare la campagna referendaria e per la Carta, lavorare sul proselitismo, non significa aggiungere lavoro straordinario al tanto impegno ordinario che abbiamo”, ma farlo nel modo più appropriato e utile “per praticare il sindacalismo del nuovo millennio, per costruire una giustizia sociale e del lavoro”. Serve “raccontare il lavoro, ascoltare le voci, sapere cosa vivono concretamente i lavoratori: tutto questo deve diventare conoscenza collettiva e strumento per parlare al paese”. “Parliamo a tutti – ha concluso Camusso – e per questo ce la possiamo fare”.