Si tiene oggi (giovedì 20 luglio) a Roma la presentazione dell’ottavo Rapporto della Fondazione Di Vittorio “(Im)migrazione e sindacato. Nuove sfide, universalità dei diritti e libera circolazione”, curato da Emanuele Galossi. L’appuntamento è alle ore 10 presso la Sala Santi della Cgil nazionale (corso d’Italia 25). La mattinata si apre con la presentazione del Rapporto: ne discutono Fulvio Fammoni (presidente Fondazione Di Vittorio), Emanuele Galossi (curatore del volume) e Luca Mariani (autore del libro “Il silenzio sugli innocenti”). Alle ore 11 è prevista la tavola rotonda “No alla paura. Accoglienza, inclusione, pace e diritti universali per una convivenza civile e democratica”: introduce Giuseppe Massafra (segretario confederale Cgil), modera Fulvio Fammoni, partecipano don Virginio Colmegna (presidente Fondazione Casa della carità), Francesca Chiavacci (presidente Arci), Mario Morcone (capo di gabinetto ministero dell’Interno) e Susanna Camusso (segretario generale Cgil).

Il compito principale di un sindacato è quello di tutelare i diritti dei lavoratori più deboli, più oppressi e più discriminati. Quindi oggi, nell'epoca delle grandi migrazioni e nel pieno del dramma vissuto da milioni di rifugiati, uno dei suoi doveri primari diventa quello di difendere coloro che pagano a carissimo prezzo la durezza delle politiche italiane ed europee sull'immigrazione. È da questo principio che parte l'approfondita analisi del rapporto tra sindacato e migranti contenuta nel volume realizzato dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio ed edito da Ediesse “(Im)migrazione e sindacato. Nuove sfide, universalità dei diritti e libera circolazione”, a cura di Emanuele Galossi.

I numerosi saggi e le ricerche originali che compongono questa ottava edizione del Rapporto, infatti, non offrono soltanto un'analisi delle migrazioni attraverso il punto di vista del mondo del lavoro e del sindacato, oltre a un approccio multidisciplinare certificato da numerose firme di professori universitari, ricercatori, dirigenti e attivisti sindacali. Dalle pagine di ogni capitolo, in realtà, affiora soprattutto l'impegno concreto che la Cgil ha deciso di assumersi per trovare il modo più adeguato per rappresentare i lavoratori migranti. Coloro che hanno meno diritti degli altri, e che sono più soggetti a uno sfruttamento senza regole. È una responsabilità inderogabile, un dovere morale, di fronte all'aria sempre più pesante che si respira nel Paese.

Non è un processo così semplice, però. Lo dicono i numeri dell'analisi condotta su 800 persone straniere, lavoratori e inattivi, residenti in Italia e provenienti da 71 paesi diversi. A fronte di un clima sociale che sentono peggiorato dall'inizio della loro permanenza nel nostro paese, oltre il 40% sarebbe pronto a emigrare ancora. Forse anche perché il sindacato italiano trova una certa difficoltà a raggiungerli. La maggior parte dei migranti intervistati, in effetti, afferma di non aver mai partecipato ad alcuna attività sindacale, fatto salvo uno zoccolo duro di lavoratori iscritti (quasi il 20%).

Anche per questo, la sfida che la Cgil si propone diventa decisiva. Perché - e nel rapporto lo si dice senza giri di parole - le condizioni di lavoro degli immigrati valgono come indicatore del livello generale di diritti e tutele del mondo del lavoro italiano, e perché quando l'asticella dei diritti si abbassa per loro, si abbassa anche per tutti gli altri. Quindi porsi il problema della rappresentatività dei lavoratori stranieri, vuol dire affrontare il problema della rappresentanza in un'ottica più generale.

È dunque questo l'impegno che la Cgil pone davanti a sé. Dal Rapporto emerge un sindacato che sente il bisogno di diventare un fattore di integrazione per milioni di persone, ma anche un argine alle strumentalizzazione sempre più becere del fenomeno migratorio da parte del dibattito politico. Per far ciò, però, il sindacato sente il bisogno di riscoprire i propri valori, integrandoli in un contesto nuovo.

Alcune esperienze confortano, però. Come quella del sostegno da parte della Cgil alle lotte dei braccianti indiani dell'agro pontino. Un lavoro lungo, fatto di studio di aspetti culturali, identitari e religiosi della comunità Punjabi presente sul territorio. Un lavoro fruttuoso, che ha portato alla grande vittoria dello sciopero generale dell'aprile 2016. Quell'esperienza rappresenta un punto di partenza per elaborare una maggiore incisività in ciò che gli immigrati chiedono esplicitamente al sindacato: una maggiore contrattazione sociale e territoriale, e una rappresentanza diversa, fatta di un rapporti umani più stretti e di una maggiore possibilità di confrontarsi.

La sfida della Cgil che “(Im)migrazione e sindacato. Nuove sfide, universalità dei diritti e libera circolazione” ci presenta, quindi, è tutta qui. Si vuole essere, come diceva Bruno Trentin, “un sindacato plurietnico della solidarietà fra diversi”, “un sindacato dei diritti” capace di garantire “spazi di rappresentanza e decisione” per ogni minoranza, di qualsiasi origine essa sia. Solo così l'Italia tornerà ad essere per davvero “una repubblica democratica fondata sul lavoro”. Anche per gli immigrati.