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Garantire un sistema universalistico di tutela della salute, così come previsto dalla nostra Costituzione, è compatibile con l'austerità? Ne hanno discusso Vera Lamonica, segretario confederale Cgil, Catiuscia Marini, Presidente della Regione Umbria, e Vito De Filippo, sottosegretario alla Salute, moderati dal direttore de l'Unità Luca Landò.
Il servizio sanitario nazionale, a lungo fiore all'occhiello della pubblica amministrazione italiana, è entrato in crisi, messo a dura prova da interventi che ne hanno minato l'universalità e dai pesanti tagli degli ultimi anni, la cosiddetta austerity. Tagli per 30 miliardi in meno di un lustro hanno spinto il fondo sanitario sulla soglia del 7% del pil, 109 miliardi euro. Un fondo spesso divenuto facile preda per soddisfare la necessità di riduzione della spesa pubblica. In questo contesto, è ancora possibile garantire i Lea, i livelli essenziali di assistenza, e pari diritti in tutto il territorio nazionale?
Questo il nodo attorno al quale si è sviluppato il dibatto di apertura dell'ultima delle tre Giornate del lavoro organizzate dalla Cgil. A discuterne in sala dell'Arengo a Rimini, moderati dal direttore de l'Unità Luca Landò, Vera Lamonica, segretario confederale Cgil, Catiuscia Marini, presidente della Regione Umbria, e Vito De Filippo, sottosegretario alla Salute. Il Patto per la salute, l'accordo quadro triennale che coinvolge governo e Regioni nella pianificazione finanziaria del nostro sistema sanitario pubblico, è, a detta di tutti gli interlocutori, il vero punto di partenza per capire se è possibile ancora salvare il malato. É il sottosegretario De Filippo, che da ex presidente della regione Basilicata è stato in passato dall'altra parte della barricata in questa costante contesa tra governo centrale e amministrazioni periferiche, a mettere il primo paletto, richiamando le parole della ministra Lorenzin: non un euro in meno nel Patto per la salute. É la premessa necessaria.
Il sottosegretario va oltre, ammettendo il fallimento della cosiddetta compartecipazione, ovvero il pagamento dei ticket e dei super ticket per ricevere prestazioni sanitarie. Un fenomeno che ha creato distorsioni nel sistema, allontanando i cittadini dalla sanità pubblica e aprendo spazio ai privati. Proprio su questo si concentra Vera Lamonica, segretario confederale della Cgil, quando sostiene che se “9 milioni di italiani, dato del 2012, rinuncia a curarsi, vuol dire che c'è un processo drammatico, l'emersione di nuove e più profonde ineguaglianze”. “La domanda di salute è in crescita – aggiunge - e questa è una grande occasione per il mercato. Penso che alcune delle politiche pubbliche siano andate in questa direzione anche quando non lo si è detto chiaramente, producendo una fuga dal sistema pubblico oltre che una rinuncia alla cura”. Un sistema che allontana le persone anche per le sue inefficienze, oltre che per i costi.
Quando il direttore de l'Unità ricorda le lunghe liste di attesa, citando alcuni casi tristemente paradossali come i 5 mesi per un'ecografia ostetrica a Viterbo, la presidente della regione Umbria Catiuscia Marini ricorda come in un sistema sostanzialmente regionalizzato la logica dei tagli lineari ai finanziamenti e al personale abbia determinato disorganizzazione anche per le regioni virtuose. “Il problema – ha argomentato - non è il budget ma la sua distribuzione disomogenea, che crea inefficienze”. Serve maggiore flessibilità, programmazione, prevenzione, servizi di prossimità sul territorio. Ma per farlo servono risorse certe. Fa un esempio molto calzante, per spiegare le distorsioni prodotte da un sistema incomprensibilmente rigido, o per usare le parole di Lamonica “ragionieristico”, la presidente dell'Umbria. “Possiamo tollerare che, in presenza di un farmaco salvavita per i malati di epatite C, il nostro servizio sanitario nazionale non sia in grado di spendere 3 miliardi di euro per offrirlo? Dobbiamo avere un fondo sanitario coerente con la domanda di salute e quindi aggiornare i Lea”. Della stessa idea Vera Lamonica, che preme affinché attraverso il Patto si sia in grado di definire la strada che il sistema percorrerà da qui a 3 anni. Chiede una “discussione partecipata”. “Trovo assurdo – rincara la dose la sindacalista - che non ci sia stato un solo momento di confronto con l'intero mondo delle professioni sanitarie. Non è un bel segnale”. E lancia un allarme: se non si garantiscono Lea omogenei su tutto il territorio nazionale, se si riduce l'attenzione alla cura, se si riduce l'ospedalità senza sostituirla con servizi sul territorio, il rischio inedito è una crisi di consenso del sistema sanitario pubblico. "E su queste crisi le forze neoliberiste hanno sempre costruito la loro forza”, ha concluso.