Più della metà degli insegnanti di asili e nidi di Torino riporta livelli medi o addirittura elevati di esaurimento emotivo e di burn-out. Un accumulo di stress e insoddisfazione professionale che può portare a ben più gravi disagi di carattere psichico, cui si aggiunge un carico di disturbi muscolo-scheletrici (che colpiscono il 43 per cento degli educatori) altamente disabilitanti. A dirlo è la ricerca “Capacità lavorativa, salute psico-fisica, burnout ed età, tra insegnanti d’infanzia ed educatori di asilo nido: uno studio trasversale”, realizzata da esperte del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino (Daniela Converso, Sara Viotti, Ilaria Sottimano, Gloria Guidette), assieme al medico competente Vincenza Cascio, pubblicata di recente sul bimestrale “La Medicina del Lavoro".

 

Allo studio hanno partecipato 734 insegnanti ed educatori, pari al 53 per cento di quelli impiegati nei Servizi educativi (nidi e scuole dell’infanzia, quindi con bambini fino a sei anni) del Comune di Torino. I dati sono stati raccolti tramite questionari, a partire dal febbraio 2013. Il 99 per cento del campione sono donne, l’età media è 50 anni. La maggior parte sono coniugate o conviventi con almeno un figlio. Dal punto di vista delle circostanze extra-lavorative che possono incidere sulle condizioni psichiche, si rileva che il 38 per cento del campione ha vissuto nell’arco degli ultimi sei mesi una grave difficoltà personale (come divorzio, morte o malattia di un familiare o un amico).

Il burnout è un fenomeno diffuso. Un quarto degli insegnanti denuncia alti livelli di "esaurimento emotivo

Il settore educativo materno-infantile riporta alcune specificità. Il contesto è molto informale: il ruolo dell’operatore, infatti, comprende non solo lo svolgimento delle attività educative, ma anche compiti di cura e assistenza di bambini piccoli non ancora autosufficienti. Sugli insegnanti grava dunque il “coinvolgimento profondo nelle dinamiche di sviluppo emozionale, cognitivo e biologico dei bambini”, oltre alla tensione generata dalla responsabilità per la loro incolumità. A questo vanno aggiunti le condizioni spesso disagiate degli ambienti di lavoro e il rapporto numerico insufficiente tra educatori e bambini. Lavorare con bambini così piccoli, inoltre, implica l’esposizione continua al rumore e l’impegno incessante della voce, nonché un “significativo coinvolgimento della sfera fisica, in quanto il lavoro quotidiano richiede frequenti movimenti che pongono il corpo sotto stress (tenere in braccio i bambini, flettersi, curvarsi e stare in posizioni che permettano una migliore interazione con essi ecc.)”.

La ricerca mostra che il burnout (ossia l’esito patologico di un processo stressogeno) è un fenomeno abbastanza diffuso. Analizzandone le singoli dimensioni, a denunciare un elevato “esaurimento emotivo” è circa un quarto del campione, mentre oltre il 30 per cento riporta un livello medio (l’esaurimento emotivo, inoltre, mostra un incremento significativo all’aumentare dell’età). La “depersonalizzazione” evidenzia livelli meno accentuati di disagio ma comunque non trascurabili (più di un quarto della popolazione riporta livelli almeno medi); anche la terza dimensione non si discosta dal trend degli indicatori precedenti, evidenziando una situazione di media “realizzazione professionale”. Infine, solo una piccola percentuale indica sintomi riconducibili a fenomeni depressivi che potrebbero essere clinicamente rilevanti (anche se questi fenomeni si intensificano all’aumentare dell’età).

L’indagine evidenzia le patologie mediche maggiormente frequenti. Fra insegnanti ed educatori le più frequenti sono quelle all’apparato muscolo-scheletrico (il 79 per cento dei casi diagnosticati e l’84 di coloro che dichiarano di accusare dei sintomi riguardano problematiche della regione lombo-sacrale), seguono i disturbi gastrointestinali, quelli di tipo neurologico, cardio-vascolare e dermatologico. Tornando ai disturbi muscolo-scheletrici, va evidenziato che soltanto un terzo della popolazione considerata non riporta alcun disagio connesso ai dolori: il 24 per cento ha livelli di disagio lievi, il 28,8 accusa dolori alla schiena “moderatamente disabilitanti”, il 14,4 ha dolori “severamente disabilitanti”.