di Rassegna.it Il 2018 si è chiuso con l'approvazione di una legge di bilancio per lo più più volte, ma oggi si può finalmente avere un quadro generale più o meno compiuto, anche se incerto, delle cifre contenute nel testo. C'è un deficit nominale al 2%, che è interamente utilizzato per disattivare le cosiddette clausole di salvaguardia, le clausole legate all'aumento dell'Iva delle accise qualora non non si fossero fatti tagli corrispondenti - ha spiegato Roberto Romano, docente dell'università di Bergamo, ai microfoni di RadioArticolo1. Ci sono 12 miliardi a disposizione - ha continuato Romano -, le risorse aggiuntive sono destinate alla riforma previdenziale e per il cosiddetto reddito di cittadinanza. La manovra economica sostanzialmente è tutta qui. Il resto è a margine di questo pacchetto. Ora è necessario capire se la manovra potrà essere modificata, se i numeri siano o meno efficaci e corretti, e se non siano in alcuni casi eterodiretti. Perché sul deficit al 2% il docente ha delle perplessità, così come ha delle perplessità sulle norme che stanno attuando con un decreto legge che non trova nessuna giustificazione. Nella prima bozza della manovra, in effetti, si proponeva alla Ue un deficit al 2,4%, la maggior parte del quale veniva utilizzata per la riforma previdenziale e per il reddito di cittadinanza. In effetti utilizzando gli ipotetici 15 miliardi a disposizione per i due provvedimenti il deficit quadrava - spiega Romano -. Ma quei soldi sono comunque dei fondi che necessitano di un provvedimento di legge per essere spesi, mentre il denaro non speso diventa automaticamente risparmio. Quel risparmio, a detta del docente, era già stato previsto per coprire alcune spese, mentre con il deficit al 2%, ora è necessario comprimere la spesa. C'è poi il tema fiscale, che tra flat tax e cedolare secca mette da parte ancor più da parte il tema della progressività. È un problema annoso - ha continuato Romano - perché è veramente da molto tempo che il fisco italiano tecnicamente non può più distribuire il carico tributario. D'altronde abbiamo solo un'imposta progressiva, l'Irpef, ed è pagata all' 80-85% dal lavoro dipendente. Tutti gli altri redditi, e con questa manovra è stata esacerbata la situazione, sono soggetti a una imposta sostitutiva. C'è, insomma, un problema strutturale molto serio. Bisognerebbe riscrivere le regole tra cittadini e governo per creare un fisco in cui tutti pagano sulla base delle proprie capacità contributive, ma pure su questo fronte, questo governo ha fatto anche peggio degli altri. Per Romano l'esecutivo giallo-verde non fa nulla per opporsi al fatto che il mondo del lavoro si sobbarca tutto l'onere finanziario dello Stato, mentre i redditi più ricchi sono interessati solo da imposte proporzionali. Tutto ciò non ha giustificazione né tecnica, né economica e persino nemmeno etica. D'altronde, nella manovra, anche le cifre destinate la lavoro appaiono misere. Il tutto in un Paese in cui la disoccupazione è ancora a due cifre - conclude Cristian Perniciano, del dipartimento politiche di sviluppo della Cgil - .Quello che manca è la creazione di lavoro attraverso i due canali principali che abbiamo descritto da anni nel Piano del lavoro. Da una parte gli investimenti pubblici, che ora diminuiscono di oltre 2 miliardi, dall'altra la variazione della previsione di crescita del Pil. Perché il lavoro si crea con la crescita. Tutte le cifre della manovra derivano da una aumento inferiore.