Alla vigilia del XIX congresso della Cgil, in programma dal 15 al 18 marzo a Rimini, abbiamo incontrato Luigi Giove, segretario confederale con delega all'organizzazione.

Cominciamo dai numeri: partecipanti, assemblee svolte, presenza di giovani, donne, eccetera...
Sono state svolte 43.211 assemblee di base, nelle quali hanno potuto discutere dei nostri documenti congressuali 1.359.324 lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati. Il documento “Il Lavoro Crea il Futuro” (primo firmatario Maurizio Landini) ha ottenuto 1.305.702 voti pari al 97,59%, il documento “Le Radici del Sindacato” (prima firmataria Eliana Como) ha raccolto 32.240 voti pari al 2,41% dei voti. Il percorso congressuale ha portato alla elezione di 986 delegate e delegati di cui il 49% donne.

Qual è l’importanza della partecipazione democratica dei lavoratori – che ovviamente incrocia il tema della rappresentanza – in una fase che da anni vede allargarsi costantemente l'astensionismo nelle consultazioni elettorali?
La partecipazione è il primo fondamento della democrazia e per noi rappresenta un perno imprescindibile della nostra azione sindacale. Per questo riteniamo indispensabile il fatto che ogni nostro percorso congressuale parta dalla relazione diretta con le persone che rappresentiamo. Per fare ciò è indispensabile discutere con tutti, iscritti alla Cgil e non, a partire dai luoghi di lavoro e dal territorio.

Il congresso cade in un momento particolare: post pandemia, guerra, rigurgiti fascisti… Quale può essere il contributo che il momento di discussione congressuale può offrire in un contesto così complesso, forse il più complesso dal secondo dopoguerra?
Il congresso serve a definire le priorità e le strategie di mandato. Lo scenario economico, sociale e politico che abbiamo di fronte è mutato in profondità e con una rapidità inedita, per questo sarà necessario che da questo congresso emerga una direzione di marcia chiara e coerente con le sfide che abbiamo di fronte.

Uno dei temi classici è la difficoltà che spesso ha il sindacato, anche per i grandi mutamenti del mercato del lavoro, di rivolgersi ai giovani o comunque alle nuove professioni. Cosa ci puoi dire in proposito, anche rispetto alla partecipazione dei giovani al lungo dibattito congressuale?
C’è una oggettiva difficoltà nel determinare una capacità di rappresentanza dei giovani duratura nel tempo. È un problema che attiene sicuramente alla estrema precarietà dei rapporti di lavoro, alla durata stessa dei contratti e a una estrema polverizzazione delle occasioni di lavoro. Per questo è indispensabile contrastare la precarizzazione del lavoro sia sul versante contrattuale che su quello legislativo. Occorre dire che però esiste anche un problema di “comunicazione” con le lavoratrici e i lavoratori giovani. Abbiamo bisogno di imparare nuovi linguaggi e per fare questo serve un investimento in politiche dei quadri dirigenti che investano sulle nuove generazioni.

“Il lavoro crea il futuro”: quali sfide secondo te ha il sindacato davanti nei prossimi anni?
La grande sfida dei prossimi anni sarà la capacità di gestire le grandi transizioni nelle quali siamo già immersi affinché siano giuste e sostenibili socialmente. Penso alla transizione ambientale, alla transizione digitale e tecnologica e infine penso alla transizione demografica. Questi processi non sono neutrali e possono generare profonde ingiustizie e grandi crisi, sia in termini di occupazione, sia in termini di giustizia sociale e di democrazia.