PHOTO
C’è un’Italia che non si rassegna al silenzio, che non si arrende all’indifferenza, che crede ancora nella forza della partecipazione. È l’Italia che in queste settimane ha camminato piazza dopo piazza, casa per casa, distribuendo volantini, parlando con studenti, precari, operai, migranti, pensionati. È l’Italia che ha deciso di dire sì cinque volte il prossimo 8 e 9 giugno: per il diritto al lavoro, alla dignità, alla cittadinanza.
A poco più di un mese dal via alla campagna referendaria promossa dalla Cgil e dalla Rete per la cittadinanza, lo scenario è chiaro: una mobilitazione dal basso, intensa e ostinata, controvento rispetto al clima generale. I cinque quesiti – contro il Jobs Act e i licenziamenti facili, contro la precarietà infinita dei contratti a termine, per la sicurezza nei subappalti, per la piena cittadinanza a chi lavora e vive stabilmente in Italia – hanno rimesso al centro del dibattito pubblico le grandi domande della democrazia sociale.


Nessuna campagna milionaria, nessuna copertura televisiva a tappeto. Solo centinaia di comitati spontanei, una galassia di associazioni, sindacati, studenti, reti civiche, intellettuali, artisti. E la consapevolezza di doversi misurare con l’ostacolo più alto: il quorum. La soglia del 50% più uno degli aventi diritto, un traguardo che negli ultimi decenni è apparso irraggiungibile. Ma è proprio contro questa rassegnazione che si sta muovendo l’Italia dei 5 sì: con banchetti nelle università, assemblee nei luoghi di lavoro, incontri nei quartieri, azioni simboliche e performance pubbliche.
A Roma, Napoli, Bologna, Torino, Palermo si sono viste piazze affollate come da tempo non accadeva. Ma anche nei paesi più piccoli, nelle periferie dimenticate, si raccoglie una domanda che va oltre il voto: è la richiesta di essere ascoltati, riconosciuti, inclusi. E di ridare un senso alla parola “lavoro” – non come merce, ma come diritto, come base della dignità umana.
Capofila della campagna è il segretario generale Cgil Maurizio Landini. Ieri durante il tour elettorale in Toscana ha ribadito che “noi non attacchiamo personalmente nessuno, non attacchiamo questo o quel governo, ma mettiamo in discussione le politiche fatte negli ultimi 25 anni”. Si dovevano “aumentare gli investimenti, l’occupazione e i salari ma è sotto gli occhi di tutti che sono stati aumentati solo i profitti per le imprese e la precarietà. Per questo andare a votare l’8 e il 9 giugno è l’occasione per cambiare le cose”.