La ricerca di Banca d’Italia pubblicata nel marzo 2022 ci fornisce la fotografia di un paese, l’Italia, nel quale gli strumenti alternativi al contante hanno visto un incremento costante fino al 2019, e un vero e proprio boom dalla crisi pandemica in poi, grazie anche a iniziative quali cashback e lotteria degli scontrini. In merito a questi ultimi, uno studio elaborato dal Politecnico di Milano segnala una crescita dei volumi d’acquisto con modalità cashless, nel primo semestre del 2021, pari al 23% rispetto al 2020 (e + 66% della modalità contactless), e una crescita del numero di transazioni pari al 44%. Contemporaneamente sono scesi gli importi prelevati dagli sportelli ATM, del 6% rispetto al 2020 e addirittura del 20% rispetto al 2019. Si segnala inoltre la riduzione degli importi medi delle transazioni, a dimostrazione della sempre maggior diffusione dei pagamenti nelle piccole transazioni.

Tuttavia la crescita dell’uso di questi strumenti, il cui livello in Italia resta comunque inferiore rispetto agli altri paesi europei (è sestultima in Europa per il Cashless Society Index), pone alcuni importanti interrogativi in merito all’utilizzo, alla sicurezza e a quella che possiamo chiamare permanenza nelle crisi di questi strumenti. Utilizzo. L’utilizzo dello strumento di pagamento elettronico è possibile, ovviamente, solo se esso è accettato da entrambe le parti. Banca d’Italia ci comunica che, nonostante le tante norme atte a rendere obbligatorio accettare tali pagamenti, ben il 40% delle transazioni in contanti ancora vengono fatte in punti vendita che accettano solo questo canale di pagamento. Aggiungiamo che il 4,5% dei consumatori non possiede altri canali di pagamento, con picchi dell’11% tra chi non ha un’occupazione. Si pone in generale il problema dei soggetti non bancabili o che non hanno accesso per povertà, età o scarsa dimestichezza, con gli strumenti di pagamento elettronico.

Sicurezza
A differenza del contante, che assicura l’anonimato e nessuna traccia (salvo quella fiscale per il venditore), le transazioni elettroniche sono tutte tracciate, poiché comportano un trasferimento di danaro in forma immateriale, che quindi non può prescindere dalla presenza di una piattaforma che certifichi l’esistenza delle somme necessarie nella disponibilità dell’acquirente e le trasferisca nel conto/portafoglio del venditore. Normalmente tali intermediari sono player molto grandi al punto che il settore ha importanti barriere d’entrata configurandosi come un oligopolio. Sulla pagina relativa alla privacy policy di Mastercard, si comunica, tra le altre cose, che essa, oltre ai dati personali e finanziari degli utilizzatori, raccoglie dati su: “Informazioni sull’operazione, quali, ad esempio, numero di conto personale, nome e indirizzo del commerciante, la data e l'importo totale dell’operazione e altre informazioni fornite da istituti finanziari o commercianti quando agiamo per loro conto. Informazioni sul prodotto e sul servizio, quali, ad esempio, informazioni di registrazione e pagamento …. L’uso del sito web, del dispositivo e delle app per dispositivi mobili e informazioni simili raccolte tramite strumenti automatizzati, quali cookie e tecnologie analoghe.” Tali dati, di fatto, possono identificare le singole transazioni in ogni loro caratteristica, e possono essere processati. Ovviamente la privacy policy non permette la comunicazione di questi dati a terze parti senza l’autorizzazione degli interessati (spesso, va detto, volontariamente concessa per disattenzione, scarso peso dato o fretta). Ricordiamo anche che nel 2018 Bloomberg accusò il gigante dei pagamenti di avere posto in essere un accordo segreto con Alphabet per uno scambio di dati al fine di tracciare anche i dati dei pagamenti offline effettuati dai consumatori con le proprie carte.

Archiviazione
Si pone inoltre il problema della possibilità, da parte dei venditori, specie nel canale online, di archiviare e profilare i clienti sulla base delle transazioni. In passato l’autorizzazione al trattamento dei dati ai fini di profilazione era inserita come condizione essenziale al momento dell’acquisto. Tale pratica è invece illegittima in quanto viola l’articolo 7 comma 4 del GDPR. Resta purtroppo vero che ogni singolo consumatore è portato a sottovalutare il valore dei propri dati, fornendo il consenso al trattamento, come già detto, con leggerezza. In effetti il singolo dato ha un valore irrilevante, ma assume invece una grande importanza quando i database arrivano ad accumulare una grande quantità di dati. Il tutto al netto di possibili attacchi e data breach che potrebbero colpire e coinvolgere anche singoli individui e le loro abitudini. In questi casi anche il singolo dato su una singola transazione può assumere un valore elevato.

Un equivoco
La spinta verso il cashless ha probabilmente creato un equivoco rispetto alla lotta all’evasione: si è pensato che le Agenzie potessero accedere ai dati delle transazioni. È vero infatti che le transazioni cashless producono una maggior tensione verso la compliance fiscale, ma non perché vi sia un “travaso” di informazioni. Semplicemente è (da poco) possibile, per l’Agenzia delle Entrate, effettuare analisi che comparino i redditi dichiarati con quanto risulta nella Anagrafe dei rapporti finanziati; quindi le transazioni elettroniche, che non permettono di occultare le entrate nei conti correnti, interagiscono virtuosamente con questa nuova modalità d'incrocio dei dati. Allo stesso modo la fatturazione elettronica e lo scontrino elettronico, con un flusso -indipendente da quello degli operatori cashless- rende più semplice e automatico il controllo di spese e ricavi dei contribuenti, permettendo di matchare le fatture in entrata e in uscita nei rapporti tra operatori.

Valute virtuali
Discorso diverso è quello dei crypto assets. In Italia, malgrado non sia stato ancora istituito il Registro speciale presso l’Autorità di controllo, è applicata anche ai prestatori di servizi di valute virtuali, Exchanger e società di gestione dei Wallet, la normativa antiriciclaggio. Il nostro Paese è stato tra i primi Paesi europei a recepire la IV Direttiva europea antiriciclaggio inserendo a carico dei prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valute virtuali gli obblighi di adeguata verifica della clientela e di segnalazione di operazioni sospette. Vi è quindi un controllo (anche per procedere, al verificarsi delle condizioni, alla tassazione delle plusvalenze) nel momento della conversione in euro, assai meno nella circolazione all’interno del circuito crypto, che risulta invece ancora oscura, e non a caso utilizzata (anche) da organizzazioni criminali e per il mercato nero (armi, droga, sblocco ransomware).

Permanenza nelle crisi
Un aspetto che emerge in questo periodo di crisi geopolitica è quello relativo alla tenuta delle infrastrutture necessarie ai trasferimenti di moneta elettronica. Assistiamo infatti alla possibilità che la distruzione fisica delle reti e degli archivi, o la possibilità per uno stato di bloccare l’accesso ai depositi bancari dei cittadini possa mettere in discussione la possibilità di avere la disponibilità di strumenti diversi dal contante. Dall’altra parte si assiste, nei due paesi direttamente coinvolti nel conflitto, a una crescita degli acquisti di criptovalute sia come difesa dal rischio di svalutazione della moneta nazionale che come circuito parallelo di raccolta delle risorse di fronte al rallentamento delle reti bancarie tradizionali.