Le 'antenne di genere', delegate e delegati debitamente formati, che nella contrattazione aziendale portino nel confronto i temi delle disuguaglianze e delle pari opportunità. Questa, la proposta lanciata dal segretario generale della Cgil Puglia, Pino Gesmundo, al convegno di Bari. dove con la presenza di Susanna Camusso si è discusso di linguaggi, stereotipi e diritti negati nella vita delle donne.

“L’iniziativa di oggi non intende essere rituale, anzi dobbiamo recuperare dei ritardi. Oggi ascolteremo tante testimonianze dirette che ci dicono di come serve intervenire sul piano legislativo, ma anche per quel che ci riguarda rafforzando la contrattazione di genere. Perciò, serve un lavoro quotidiano, da svolgere in ogni luogo di lavoro e in ogni territorio, perché non può esserci forbice sul piano dei diritti e vanno recuperati pezzi di welfare che fanno si che il lavoro di cura non ricada sempre e solo sulla donna. In tal senso, dobbiamo contaminare anche il gruppo dirigente, i nostri iscritti, superare retaggi culturali. La nostra iniziativa è un pezzo della discussione che deve continuare nei luoghi di lavoro e in ogni nostra struttura”.

Nella relazione svolta dalla segretaria regionale Filomena Principale, uno sguardo alla nostra regione, “dove gli ostacoli per la piena partecipazione delle donne, in ogni ambito, sono legate alla conciliazione con i tempi di lavoro, ai servizi di welfare a sostegno della cura familiare che ricade quasi sempre sulle donne, a un ritardo culturale. Servono infrastrutturazioni sociale e investimenti a partire da scuola, asili, sanità, politiche abitative, di mobilità, pubblica amministrazione”. In Puglia, le aree di criticità esigono un forte impegno: “Differenze di opportunità lavorative e retributive, organizzazione del lavoro, impegni di cura, invecchiamento popolazione, la violenza di genere e le molestie nei luoghi di lavoro, gli stereotipi sessisti, pretendono risposte da costruire insieme, con associazioni e istituzioni. Da fare nei luoghi di lavoro e nei territori”.

Al convegno le testimonianza di donne, studentesse, lavoratrici, pensionate, precarie o che invece hanno sperimentato una contrattazione di genere che ha portato risultati importanti. È il caso di Rosanna Favia, delegata Filt ad Aeroporti di Puglia, la società che gestisce gli scali di Bari e Brindisi, che ha raccontato come “dalla nascita di un comitato pari opportunità e dell'attenzione dell'azienda a tali tematiche sono nati i progetti che hanno permesso, ad esempio alle neomamme, di scegliere se lavorare part time per 24 mesi, di organizzare dei turni senza lavorare i festivi e mai prima delle 6 di mattina. Così come dal contratto integrativo sono venute le 96 ore retribuite di malattia bambino e dal welfare aziendale il servizio di babysitting”.

Le conclusioni della responsabile nazionale Cgil per le politiche di genere. “Noi siamo una organizzazione che da qualche anno parla di contrattazione inclusiva per riaffermare diritti estensivi. Va detto che una contrattazione senza le donne, senza la questione di genere, inclusiva non è. Non dobbiamo guardare solo a quel che succede attorno a noi, ma anche a quel che accade al nostro interno”, ha affermato Susanna Camusso, che si è soffermata sul tema del linguaggio. “Abbiamo parlato sempre e solo di libertà. Certo, ma serve anche autonomia, altrimenti non c’è nessuna libertà. E va detto che libertà significa anche non essere omologati, proporre modelli alternativi, non adeguarci ai modelli gerarchici e valoriali proposti. Fuori anche da stereotipi che noi donne viviamo, perché così ce li hanno inculcati. Per esempio, dal partire con il mettere in discussione sia scontato che dove c’è lavoro femminile non c’è valore e dove c’è lavoro maschile c’è prestigio”.

O, ancora, rigettando un modello culturale diffuso, che agisce spesso “colpevolizzando la donna, magari per la sua condizione di essere mamma, e non si critica la mancanza di un welfare adeguato, che permetta alla donna di lavorare e conciliare i suoi tempi di vita. O, allo stesso modo, se sceglie in autonomia di non avere figli. Così come agisce sullo stesso livello di colpevolizzazione la cosiddetta vittimizzazione secondaria, cui si ricorre quando una donna subisce violenza: si mette in dubbio il suo agire, come si veste, gli ambienti che frequenta. Ecco che vanno proprio ribaltati i modelli culturali La critica deve essere radicale a un modello che non è neutro. Va rimesso tutti in discussione. Gli uomini soprattutto devono ricordare che di fronte a una disuguaglianza sociale - e quella di genere è una di queste -, se si afferma che non si può fare nulla non si è semplicemente inerti, si è complici”.