"Nessuna auto lascerà il nastro”: è la promessa (o la minaccia, dipende dai punti di vista) fatta dal responsabile sindacale della Ig Metall per la Ford di Colonia, una delle tante fabbriche che in questi giorni, da giovedì notte, si sono fermate per lo sciopero dei metalmeccanici tedeschi. Sono già centinaia di migliaia i lavoratori che hanno aderito alla protesta che interessa 275 aziende del paese, ma il picco di partecipazione è previsto per oggi, venerdì 2 febbraio, quando è attesa un'adesione record, fino a un massimo di 300.000 occupati, tra i quali gli addetti di Bmw, Audi, Daimler e Porsche. Il sindacato tedesco dei metalmeccanici, che conta oltre 2,26 milioni di iscritti, li chiama “scioperi di avvertimento”, perché l'obiettivo è quello di preparare il negoziato contrattuale che – dalle ultime notizie – potrebbe ripartire lunedì 5 febbraio.

Ma quale è l'obiettivo di una mobilitazione così forte, al punto da spingere alcune federazioni degli industriali tedeschi a denunciare la stessa Ig Metall chiedendo i danni per i mancati guadagni? Il primo obiettivo, quello classico, è un aumento delle retribuzioni per i circa 3,9 milioni di lavoratori del settore del 6% (quindi molto alto). Ma la vera novità sta nella rivendicazione di una riduzione dell'orario di lavoro a 28 ore settimanali (dalle attuali 35).

Attenzione però, non si tratterebbe di una riduzione tout-court, ma di una possibilità offerta a determinate condizioni ai lavoratori (per genitori di bambini piccoli e per chi si prende cura di un familiare), senza bisogno però di alcuna autorizzazione aziendale. La riduzione dell’orario (chiesta dallo stesso sindacato che per primo contrattò a suon di scioperi le 35 ore settimanali) è una rivendicazione che, se facesse breccia, marcherebbe una svolta epocale in Germania e non solo. Nella piattaforma del sindacato, le 28 ore dovrebbero essere reversibili, con il rientro a tempo pieno garantito, e durare al massimo due anni. Né dovrebbero causare sovraccarichi di lavoro o straordinari per i colleghi che restano a tempo pieno. Dovrebbero essere compensate, invece, con nuove assunzioni.

Di certo una proposta avanzatissima, che non piace agli industriali, i quali però, di fronte alle adesioni massicce agli scioperi di questi giorni (e altri si erano già svolti a inizio gennaio) chiedono di tornare al tavolo, come ha fatto il presidente dell'Unione degli industriali “Gesamtmetall”, Rainer Dulger, che ha dichiarato: “Quello che non vogliamo sono le aziende ferme per un lungo periodo e le strade piene di bandiere rosse”.

E c'è da credergli, visto che uno sciopero esteso, di 10 giorni, secondo quanto calcolato dagli economisti del think-tank IW di Colonia, costerebbe agli industriali qualcosa come 2,5 miliardi di euro. Tuttavia, l'ipotesi non è da escludere. Dopo 10 anni di crescita “zero virgola” dei salari, con un Pil aumentato del 2,2% nel 2017 e con la disoccupazione ai minimi storici (5,4%) i sindacati, Ig Metall in testa, sentono che è giunto il momento di rivendicare. E puntano in alto.  (Fab.Ri)