“O riparte davvero l'economia, o non si crea occupazione. Non è con le leggi che si crea nuovo lavoro. E purtroppo l'economia italiana non è ripartita, o è ripartita talmente piano che gli effetti sui percorsi occupazionali sono sostanzialmente piatti”. A dirlo è il presidente della Fondazione Di Vittorio Fulvio Fammoni commentando ai microfoni di RadioArticolo1 la ricerca che certifica il calo rilevante dei nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

“Le forme di lavoro precarie – afferma il dirigente sindacale della Cgil – sono ancora quelle prevalenti di ingresso al lavoro. Gli ultimi tre anni di dati Inps dicono che i rapporti a tempo determinato rappresentano circa il 60 per cento delle nuove attivazioni, e a questo va aggiunto il vero e proprio boom dei voucher aumentati di quasi il 150 per cento in due anni”.

Dati interessanti, quelli della Fondazione Di Vittorio, perché giungono a poco più di un anno dall'entrata in vigore del Jobs Act. “Il premier Renzi e il tutto governo – osserva Fammoni – insistono molto sui risultati positivi della riforma, ma i dati dicono una cosa ben diversa: la spinta che ha portato le imprese ad assumere è lo sgravio contributivo. Il che ha portato però una specie di droga nel mercato del lavoro: si sono anticipate alcune assunzioni – poi lo vedremo con la verifica di fine anno – con ricadute evidenti. Basti pensare che nei primi mesi di quest'anno si assume meno che nel 2014 a tempo indeterminato”.

 

C'è un dato positivo, il saldo tra attivazioni e cessazioni, che va però sviscerato. “Il calo delle cessazioni – spiega Fammoni citando la ricerca – è dovuto in parte alla lievissima ripresa del Pil finalmente con un segno positivo. Ma secondo il nostro studio ci sono due altri fattori determinanti. Il primo è che se nel 2015 hai assunto una mole importante di persone con sgravi triennali, evidentemente questo frena le cessazioni nel triennio; il secondo dato riguarda le pensioni: nel 2016 sono scattati i meccanismi ancora più restrittivi della legge Fornero e c'è stato un vero e proprio crollo delle uscite”.

“Il dato di fondo – conclude – è che mancano gli investimenti pubblici immediatamente cantierabili. Non le grandi opere pur necessarie ma che riguardano altri periodi. Penso agli investimenti suggeriti nel Piano del Lavoro della Cgil, come rimettere in sicurezza il paese dal punto di vista dell'assetto idrogeologico, le infrastrutturazioni materiali e immaterali. Un esempio? Oggi solo il 13 per cento delle imprese usa il commercio elettronico, è un gap che andrebbe colmato”.

(mm)