Di gender gap si parla sempre più spesso, ma si fa ancora troppo poco per colmare questo divario di genere che c’è all’interno delle aziende. E questo nonostante ci sia una legge, la 120 del 2011, che prevede almeno per quanto riguarda i consigli di amministrazione e di controllo delle società quotate in Borsa e nelle società pubbliche, l’inserimento delle “quote di genere”. Che per dirla senza il burocratese, sta a significare la partecipazione a ruoli di un certo rilievo delle donne, spesso “confinate” per svariati motivi a posizioni “inferiori”.

Che l’Italia in questo non eccella è risaputo, ma a che punto siamo e cosa stiamo facendo per ridurre questo divario? E cosa le aziende, dove tutto ha origine, stanno facendo per trasformare la legge in buone pratiche? A fare il punto su “L’equilibrio di genere come nuova frontiera in azienda” è ASAM, acronimo di Associazione per gli studi Aziendali e Manageriali, che ha organizzato un incontro a fine maggio all’Università Cattolica di Milano per far vedere, innanzitutto, come “il problema dell’equilibrio di genere non deve essere affrontato solo da un punto di vita legislativo, ma culturale”. Parole di Marco Cravesana presidente dell’Associazione che ha dato il via al meeting cui hanno preso parte anche responsabili di grandi società. “Un equilibrio che può essere raggiunto solo accettando i limiti e le competenze di colui o colei che, per cultura, definiamo diverso. Una visione che costringe a un passo indietro e a riorganizzare le strutture aziendali”.

Valorizzazione delle diversità è una delle parole d’ordine di Allianz che ha affidato alla responsabile reclutamento e selezione Antonella Bonsi la presentazione delle attività che si fanno per ridurre il gap di genere e orientarsi alla politica del diversity che appunto non riguarda solo le donne.

La Bonsi ha puntato in particolare l’obiettivo sul fatto che il gender gap non sia, come spesso erroneamente si crede, tanto una lotta di genere quanto “la diversità di accesso a diritti fondamentali come il diritto alla salute, all’istruzione e alla partecipazione all’economia e politica di un Paese”. L’Italia, stando alle parole della Bonsi, è indietro in particolare per quanto riguarda gli ultimi due punti e questa disuguaglianza è dovuta a “questioni di ordine pratico, comportamenti radicati consci e inconsci". In Allianz, ad esempio, nonostante ci sia una presenza femminile del 50% tra i dipendenti, il 25% occupa posizioni di rilievo. Anche per questo in Allianz si attuano “politiche come la flessibilità dell’orario, il part time orizzontale e verticale, gli asili nido aziendali a Milano e Trieste, il servizio di lavanderia, lo sportello bancario e la palestra”.