I 25 leader dell'Unione Europa hanno firmato il 2 marzo a Bruxelles il fiscal compact (nome ispirato dal presidente della Bce Mario Draghi) per introdurre regole più stringenti sui conti pubblici. Il patto, fortemente voluto dalla Germania, non è stato siglato da Gran Bretagna e Repubblica Ceca. Per la cancelliera tedesca Angela Merkel, è una svolta verso il rigore di bilancio nell'area euro. Per i contrari, si tratta dell'ennesima stratificazione di regole, con relativi escamotage per aggirarle, senza affrontare il nodo di come rilanciare la crescita. Ecco in sintesi i contenuti.

LA REGOLA D'ORO. È il principio del contenimento dei deficit di bilancio che dovrebbe essere il presupposto per una Germania più generosa nel concedere salvataggi ai paesi bisognosi. Prevede che il rapporto fra deficit e Pil non debba mai superare lo 0,5%. Un livello che appare irraggiungibile per molti paesi dell'Eurozona. Per questo, nell'accordo è scritto che, prima che scattino le sanzioni automatiche che avrebbero voluto Berlino e la Bce, i Paesi in deficit possano adottare meccanismi correttivi.

STRETTA ANTI-DEBITO
. Si ricalca il trattato di Maastricht che ha gettato le fondamenta dell'euro: i paesi dell'Eurozona devono ricondurre il debito pubblico al 60% del Pil al ritmo di un ventesimo l'anno. Obiettivo quasi impossibile per chi, come la Grecia, punta verso il 150% ma difficile anche per l'Italia, che viaggia intorno al 120%. Per ammorbidirlo, il compromesso è prendere in considerazione fattori 'attenuanti come il livello dell'indebitamento privato e della spesa pensionistica.

NELLE COSTITUZIONI. Una volta ratificato, il fiscal compact dovrà in base agli accordi essere recepito negli ordinamenti nazionali. Fattore, questo, che rappresenta un passo avanti rispetto a Maastricht e al Patto di stabilità europeo. Anche se c'è chi teme che tanta rigidità sia la ricetta perfetta per la recessione.

FONDO SALVA STATI. L'accordo prevede che solo i Paesi firmatari potranno ricevere l'assistenza finanziaria del fondo di salvataggio 'Esm'. Restano fuori dall'accordo la Gran Bretagna, la Repubblica ceca (in entrambi non c'è la moneta unica) e l'Irlanda, quest'ultima nella zona euro. Il referendum cui Dublino deve sottoporre il patto è un possibile ostacolo. Non in grado, tuttavia, d'impedirne l'entrata in vigore nel gennaio 2013: saranno sufficienti anche solo 12 ratifiche nazionali.