Il rapporto tra cittadini-utenti e il complesso delle soluzioni e tecnologie informatiche applicate alla salute e alla sanità - la cosiddetta e-health - sta rapidamente evolvendo. Ciò risulta da molti studi condotti in vari paesi, che confermano l’interesse dei cittadini verso l’utilizzo delle tecnologie applicate alla sanità; in particolare la telemedicina nelle cure post-operatorie e nel monitoraggio delle malattie, con alcuni sottogruppi di persone - i malati cronici - più coinvolti di altri. Sarebbe tuttavia un errore pensare che questo percorso verso l’e-health riguardi solo l’utente generando qualche preoccupazione per gli utenti per i quali il “digital devide” è particolarmente pronunciato. Questo processo di transizione digitale coinvolge in realtà tutti i soggetti: i pazienti, i professionisti e le stesse istituzioni imponendo una revisione del modo in cui viene oggi gestita nel suo complesso la sanità e più in generale l’assistenza.

Per quel che riguarda gli utenti è evidente che le sensibilità e le attitudini ad inoltrarsi in questo percorso sono diverse: da un lato i Millennials, i nativi digitali già familiari nell’uso della tecnologia, dall’altro, gli anziani i quali, pur consapevoli dei propri limiti, sperano di poterne beneficiare per curarsi da remoto. Su questo rapporto incidono anche altri fattori, tra cui il livello di educazione, l’alfabetizzazione sanitaria ed anche il genere (con le donne in maggiore difficoltà). Altre ricerche, descrivendo il profilo tipico dell’utilizzatore delle TIC (una persona relativamente giovane con un alto livello di educazione), confermano la presenza di un significativo “digital divide” tra chi usa e non usa le tecnologie comunicative nell’ambito della salute.

Gli italiani, secondo alcune indagini, risulterebbero una popolazione attenta al proprio stato di salute e consapevole delle proprie condizioni e sempre più spinta ad utilizzare nuovi ed innovativi sistemi che facilitano l’accesso alle cure sanitarie. In particolare, l’uso di Google per trovare risposte a questioni mediche è già molto diffuso tra le persone con scolarità secondaria superiore; quasi un paziente su due possiede almeno un dispositivo di monitoraggio della salute. I pazienti, soprattutto se donne, optano per i sistemi di interazione online per comodità, per l’aspettativa di un risparmio di tempo (per ottenere i risultati dei test, fissare un appuntamento dal medico o chiedere una ricetta medica). Il canale web viene utilizzato principalmente nelle fasi di accesso alle informazioni su strutture e prestazioni sanitarie e di ritiro di documenti clinici. Nel complesso emerge la volontà di prendersi cura di sé in modo attivo anche se al momento sono più rilevanti gli indicatori legati all’attività sportiva e al fitness che quelli relativi alle patologie (45% degli intervistati possiede almeno un dispositivo di self tracking). 

È interessante osservare che per quasi un terzo degli intervistati, Il livello di comprensione degli strumenti connessi è molto buono specialmente tra le persone con reddito più elevato e di età compresa trai 35 e i 54 anni. Per altri i problemi sono evidentemente maggiori e dichiarano che non hanno utilizzato canali digitali per accedere ai diversi servizi per la mancanza di affidabilità percepita. La barriera tecnologica, inoltre, risulta abbastanza rilevante: in media, 3 italiani sui 10 che hanno fatto accesso ai servizi dichiarano di non utilizzare canali digitali perché non si sentono in grado di farlo, soprattutto nella fascia più anziana della popolazione. Mentre viene evidenziata la totale assenza di problemi legati alla sicurezza dei dati condivisi confermando la fiducia nei confronti del sistema sanitario.

Vi è quindi una estesa fiducia nelle possibilità offerte dalle TIC per cui la maggioranza dei pazienti (soprattutto i più anziani) riconosce che un sistema sanitario integrato porterà a una più elevata qualità dell’assistenza sanitaria ricevuta. Appare, tuttavia, confermato che nonostante non vi sia una relazione diretta tra la soddisfazione o insoddisfazione nei riguardi del Sservizio sanitario nazionale e l’uso delle tecnologie, il ruolo del medico di medicina generale rimane importante. In altri termini, l’e-patient deve il suo comportamento al coinvolgimento e all’impegno dei medici di medicina generale in tale direzione e al fatto che essi li coinvolgono nella gestione della loro salute, rendendoli più partecipativi e con maggior empowerment.

Il medico di medicina generale mantiene quindi un ruolo fondamentale anche in questa fase di transizione digitale. Tuttavia, sebbene il professionista disponga di un corpus di conoscenze che contraddistingue il suo sapere da quello del non professionista da cui deriva l’asimmetria di posizioni rispetto ai fruitori del servizio, nel corso del tempo l’aumento generalizzato dei livelli di istruzione, il libero accesso ad una mole crescente di informazioni garantito dallo sviluppo delle TIC, hanno modificato in parte tali assunti favorendo una maggiore democratizzazione dei rapporti tra professionisti ed utenti e riducendo quell’asimmetria che ha caratterizzato per secoli la relazione medico-paziente. 

Questa evoluzione impone anche al professionista di adeguarsi in modo che le conoscenze (e il processo di acquisizione delle stesse) vengano ripensate per favorire l’apprendimento di quelle digitali restando al passo con l’evoluzione tecnologica. Anche perché, secondo le stime della Commissione Europea, il 37% della forza lavoro sanitaria possiede competenze digitali insufficienti e 26 milioni di professionisti non ne possiedono affatto e in Italia i numeri sono ancora meno confortanti. 

Questi dati evidenziano l’urgenza di modernizzare l'educazione e la formazione dedicata ai professionisti della salute, così da “produrre” futuri professionisti capaci di utilizzare gli strumenti e-health come la ricetta elettronica, il fascicolo sanitario elettronico e la telemedicina, ma soprattutto, l’educazione dei professionisti della salute nel 21° secolo dovrebbe tener conto del fatto che le nuove tecnologie consentono di concentrarsi meno sulla memorizzazione e sulla trasmissione di informazioni e più sulla promozione delle capacità di ragionamento e di comunicazione, rafforzando soprattutto la capacità di raccolta, gestione e analisi dei dati, la previsione di simulazioni e test specifici, la promozione dell’apprendimento collaborativo a distanza.

Infine, l’implementazione della tecnologia e del suo utilizzo non implica soltanto un ripensamento delle conoscenze e delle competenze richieste ai professionisti ma impone, e al contempo favorisce, cambiamenti nelle pratiche professionali. In particolare, sarebbe un errore concepire la tecnologia sia una variabile esogena che impatta sulla professione richiedendo mutamenti e adattamenti. Al contrario, essa diventa un materiale plasmabile e adattabile ai contesti di interazione locale. Le pratiche professionali, in altre parole, si svilupperebbero attorno e con le tecnologie piuttosto che a partire da esse. le tecnologie sono cioè concepite non come meri strumenti a servizio dei professionisti della cura, ma come elementi con cui questi devono apprendere a relazionarsi nel corso del proprio percorso formativo. 

Gli oggetti della cura, in definitiva, vengono considerati non come elementi esogeni che producono un impatto positivo o negativo sugli attori umani, ma come elementi “novizi” che devono essere introdotti e adattati per fare parte del set delle pratiche quotidiane, dando nuove opportunità e ponendo vincoli all’azione dei professionisti. In sintesi, siamo di fronte ad un processo che vede la simultanea partecipazione di diversi protagonisti che dovranno evolvere nell’uso delle tecnologie. È evidente che in questo processo i soggetti il cui divario digitale è maggiore -cittadini, ma anche operatori sanitari- potrebbero trovarsi in maggiore difficoltà ed è quindi probabile che gli anziani abbiano bisogno di un maggiore supporto.

Giovanna Vicarelli insegna presso l'Università Politecnica delle Marche