Un anno è passato dalla presentazione del Dpcm che fu accompagnato dallo slogan #iorestoacasa.

Un anno fa ci chiedevamo cosa sarebbe rimasto dopo un periodo particolarmente tremendo per la provincia di Bergamo, falcidiata dalle morti che il virus stava provocando.

Nei mesi seguenti abbiamo assistito all’allentamento della pressione pandemica e, conseguentemente, delle misure di restrizione, salvo poi essere sorpresi all’arrivo della seconda ondata e, in questi giorni, di una terza ondata che pare ricalcare le dinamiche di quanto successo nella primavera del 2020.

Un anno piuttosto complicato che ha cambiato parecchio le nostre abitudini, le dinamiche relazionali, ma che non pare abbia intaccato vizi e limiti della politica lombarda.

In questo momento al centro dell’attenzione c’è la campagna vaccinale, unica vera strada per poterci rialzare e riprendere a camminare: purtroppo, però, stiamo assistendo ad una disastrosa gestione di questa attività che, se da una parte è definita la priorità, dall’altra evidenzia tutti i limiti organizzativi di Regione Lombardia che dimostra ancora di non essere in grado di gestire nemmeno un’attività programmabile e preventivamente organizzabile come questa.

Tutto ciò è ancor più grave se guardato con la lente di quanto accaduto nei mesi precedenti: una sanità lombarda che non è stata in grado di offrire un servizio territoriale nel momento dell’emergenza e che avrebbe decongestionato i pronto soccorso e gli ospedali. Neppure poi, nel momento in cui la pandemia aveva mollato un poco la presa, Regione Lombardia è stata in grado di organizzarsi, facendosi trovare ancora impreparata proprio quando la terza ondata è ora arrivata e i vaccini, anche se in numero ancora limitato, sono pronti a far la loro parte.

Guardando poi l’anno che ci siamo lasciati alle spalle, rimane anche un po’ d’amaro in bocca rispetto a quanto accaduto agli operatori sanitari, socio-sanitari e dell’assistenza. Un anno fa venivano definiti addirittura eroi; sia noi che loro stessi abbiamo sottolineato che fossero lavoratrici e lavoratori che stavano svolgendo il loro lavoro, come hanno sempre fatto, seppur in condizioni decisamente più critiche. Dobbiamo purtroppo ora trarre la conclusione che quella considerazione è durata poco, e rapidamente sono tornati ad essere medici, infermieri, tecnici della riabilitazione, oss, asa spesso non più meritevoli della giusta considerazione e valorizzazione.

Ricordo che in questi giorni i territori italiani stanno tornando a colorarsi di rosso e arancione scuro, i pronto soccorso, le terapie intensive ad intasarsi e la scuola torna a svolgere la didattica a distanza, ma i congedi covid non sono stati ancora ripristinati. È stata anzi tolta anche la possibilità per la frequenza in presenza delle lezioni per i figli di operatori sanitari e medici, che era stata prevista invece durante le scorse ondate.

Credo che la strada per riconoscere l’effettivo valore del lavoro di cura e di assistenza in ambito socio-sanitario-assistenziale sia ancora lunga e che la Cgil debba continuare ad essere in campo per ottenere questo obiettivo.

Probabilmente siamo ancora troppo impegnati a contrastare l’emergenza pandemica per poter guardare in modo lucido ciò che è stato ma penso arriverà presto il tempo per tirare tutte le somme.

Occorrerà elaborare non solo i lutti per coloro che abbiamo perso, ma anche quello per un modello di sviluppo che ha messo in luce tutti i propri limiti e che deve essere necessariamente superato.

L’auspicio è che da questa situazione si possa uscire meglio di come ci siamo entrati: per un modello di sviluppo non legato ai consumi ma al rispetto dell’ambiente e alla valorizzazione del lavoro e della persona, con la consapevolezza che l’inclusione sociale, oggi compressa anche dalle, ahimè, necessarie misure di contenimento della diffusione del virus, è un tassello fondamentale per la crescita di tutta la società.

Roberto Rossi è segretario della Fp Cgil Bergamo