I rischi dei processi decisionali disumanizzati, soprattutto se finalizzati a creare profilazioni di disponibilità o valutazioni predittive di produttività dei lavoratori, sono ormai noti. Da tempo infatti è stato smentito il mito della imparzialità dei sistemi automatizzati.

Qualunque algoritmo applica con implacabile precisione la logica dei suoi programmatori ed elabora di continuo le informazioni che acquisisce in modo da determinare in forma automatizzata azioni coerenti con l’obiettivo per il quale è stato realizzato. Gli algoritmi che scandiscono la vita lavorativa dei rider delle piattaforme del food delivery non sfuggono a questa elementare regola di programmazione.

Solo l’approfondita comprensione dei sistemi consente di intuirne la logica sottostante e di capire appieno il funzionamento dei modelli matematici che sono alla base dei meccanismi decisionali, in modo da poter valutare il concreto impatto discriminatorio degli output generati dai sistemi.

L’esigenza di trasparenza, tuttavia, si scontra inevitabilmente con la resistenza delle aziende a rendere accessibili i loro algoritmi, la cui conoscibilità viene impedita opponendo il segreto commerciale o industriale che, tuttavia, spesso nasconde forme più o meno consapevoli di discriminazione. L’opacità dell’informazione caratterizza, quindi, l’atteggiamento delle aziende verso ogni tentativo del sindacato di scoprire la logica, i dati utilizzati e il funzionamento dei loro sistemi gestionali automatizzati.

Filcams, Nidil e Filt Cgil, consapevoli che la tutela dei diritti in un’economia digitale implica prioritariamente la conoscenza dei sistemi, hanno immediatamente avviato, all’indomani dell’entrata in vigore del d.lgs 104/22, una serie di azioni per costringere le società del food delivery a rendere trasparenti i loro sistemi.

Uber Eats prima, e Glovo poi, sono state costrette ad “aprire” i loro sistemi per consentire al sindacato di comprendere e contrastare efficacemente la logica del cottimo digitale basato sulla competitività tra lavoratori.

Le decisioni dei giudici di Palermo e Torino, accogliendo le istanze delle tre organizzazioni sindacali hanno fatto breccia nel muro di indisponibilità opposto in particolare da Glovo, obbligando la società a rendere parzialmente conoscibili i suoi modelli gestionali automatizzati.

È del tutto chiaro, sulla base delle informazioni che la multinazionale è stata costretta a fornire, che il suo sistema, incentrato sul riconoscimento di una priorità nella prenotazione delle fasce orarie di lavoro ai rider ritenuti “più performanti” sulla base di un punteggio di eccellenza, esaspera la logica di competitività che penalizza i soggetti più deboli ai quali viene riconosciuta la possibilità di accedere al sistema di prenotazione solo successivamente.

Il modello è stato contestato dal sindacato che ha denunciato che la progressiva saturazione degli slot con maggiori possibilità di lavoro determina una inesorabile emarginazione verso le fasce orarie meno redditizie nei confronti dei rider meno disponibili che, a causa di condizioni personali tutelate dalle norme antidiscriminatorie, ottengono un minor punteggio.

Sebbene la multinazionale abbia affermato di aver valutato che il suo sistema non avesse alcun impatto discriminatorio, il tribunale di Palermo con la decisione del 20 novembre ha inequivocabilmente smentito l’affermazione.

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Tutti i criteri che concorrono a determinare il punteggio di eccellenza dei rider di Glovo generano gravi forme di discriminazione che penalizzano i ciclofattorini in ragione della genitorialità, dell’età, del genere, dell’handicap, dell’appartenenza sindacale e della religione professata.

I parametri utilizzati dal sistema per elaborare il punteggio di eccellenza (numero di corse effettuate, puntualità nell’accesso alle zone di lavoro, disponibilità a lavorare nei fine settimana) premiano i rider più disponibili in una competizione continua tra lavoratori, valutati senza che le loro condizioni personali, che oggettivamente incidono sulla disponibilità, assumano nella programmazione del sistema alcuna rilevanza poiché – afferma chiaramente la sentenza – Glovo “neppure è interessata a conoscerle”.

Il giudice palermitano accoglie integralmente le ragioni del sindacato accertando che Glovo ha “elaborato ed utilizza un sistema di selezione dei suoi prestatori d’opera, ponendoli esplicitamente in concorrenza tra loro”. La logica della programmazione è quindi basata sulla ricerca del massimo profitto attraverso una competitività tra lavoratori perseguita nel totale disinteresse della diversità.

Di estremo interesse, anche per le possibili ricadute su altri settori, presenta inoltre l’affermazione del tribunale palermitano rispetto alla discriminazione religiosa che subiscono i rider che praticano un determinato culto, a causa della penalizzazione subita in caso di mancato svolgimento di attività in giorni incompatibili con la propria fede.

L’algoritmo, infatti, non può ignorare la spiritualità di un individuo costringendolo a sacrificare i dettami della propria fede, in una logica di produttività esasperata che disconosca l’esigenza di ogni individuo di vivere coerentemente con il proprio credo. Il rispetto del diritto ad agire in coerenza con la propria fede diviene quindi un limite dell’iniziativa privata, che non può prevalere in assenza di comprovate esigenze legittime, appropriate e necessarie.

Filcams, Nidil e Filt hanno ottenuto un fondamentale risultato, probabilmente unico nel panorama europeo che, se da un lato impone immediatamente a Glovo di avviare un confronto con il sindacato per eliminare gli effetti discriminatori del proprio modello di gestione, aprendo la strada alla contrattazione dell’algoritmo, consente anche di intravedere possibili nuove prospettive di umanizzazione del lavoro che vanno ben oltre il settore delle food delivery.