Serena Sorrentino, segretaria generale della Funzione pubblica Cgil, partiamo dal decreto legge “Cura Italia”. È un buon punto di partenza o serviva altro?

Per curare l’Italia ci vogliono queste misure ma anche altri interventi. Ne è consapevole anche il governo che in queste ore annuncia ulteriori interventi ad aprile, perché la notte è buia e lunga, bisogna fare cose emergenziali e contemporaneamente pensare all’immediato futuro. Ho sempre sostenuto che l’emergenza sanitaria era prioritaria perché più agiamo con cura, contenimento, prevenzione, prima usciamo dalla crisi Covid-19 dal punto di vista sanitario e possiamo concentrarci sulla ripresa economica. Se la guardo da questo punto di vista “Cura Italia” è una prima operazione di sostegno di ciò che oggi abbiamo da salvaguardare: Servizio sanitario nazionale, reddito delle famiglie, rete produttiva, dalle pubbliche amministrazioni alle aziende di servizi passando per quelle di produzioni di beni. Gli altri Paesi europei, forse perché li l’emergenza è arrivata dopo, mi pare stiano predisponendo misure analoghe che tuttavia per volumi hanno in sé già forme di sostegno alla ripresa. Per questo è importante che il governo dica che è un primo provvedimento.

Nello specifico, questo decreto risponde alle richieste della Fp?

Registro che per la nostra categoria ci sono ancora risposte disattese sul fronte sanitario in particolare, così sul fronte assunzionale e organizzativo. Il Sistema sanitario nazionale è sotto stress, si sta lavorando oltre la saturazione non solo di posti letto delle terapie intensive e dei reparti di malattie infettive, che sono stati potenziati usando tutte le strutture e i mezzi disponibili, ma anche di specialisti. Il problema del personale è complesso, non tutti possono essere investiti direttamente nell’emergenza Covid-19 senza competenze e preparazione, ma voglio segnalare che oltre a lavorare su turni che vanno oltre le 13 ore per 7 giorni la settimana, tutti i professionisti sanitari stanno rispondendo all’appello dell’emergenza, spesso andando anche oltre i compiti loro assegnati in via ordinaria per sostenere i colleghi. La carenza di personale, un sistema frammentato e caratterizzato da scarsi investimenti, erano fattori di criticità antecedenti al Covid-19 e certo non basta questo Dl ad invertire anni di disinvestimento a livello nazionale e differenziazione dell’organizzazione del Sistema sanitario a livello regionale. Con la legge di Bilancio e con questo Dl si riprende ad investire, ma abbiamo recuperato complessivamente il 10% del taglio complessivo che ha investito il Sistema sanitario nazionale negli ultimi anni (-37 miliardi dal 2010 al 2019, ndr) e dobbiamo affrontare questa straordinaria emergenza. Diciamo che le cure per fare effetto hanno bisogno di continuità, se è l’inizio della cura e la somministrazione di finanziamenti e interventi correttivi continua, la ripresa potrà essere veloce senza danni permanenti.

“Grazie a chi lavora” è la campagna che in questi giorni la Funzione pubblica sta portando avanti proprio per sottolineare il valore dei servizi pubblici essenziali che continuano a essere garantiti grazie all'abnegazione degli operatori sanitari. Credi che si stia facendo tutto il possibile per preservare la loro sicurezza?

È oggettivo che l’approvvigionamento dei Dpi (dispositivi di protezione individuale, ndr) sia un problema globale, ma questo non esenta da responsabilità. Tutti, sottolineo tutti, lavoratrici e lavoratori devono poter lavorare in sicurezza, abbiamo infermieri che ci scrivono preoccupati che gli addetti alle pulizie degli ospedali non hanno dpi, abbiamo l’esposizione dei lavoratori dell’igiene ambientale, di chi lavora a contatto con il pubblico, delle aziende private che lavorano a stretto contatto, delle Rsa che rischiano di diventare luoghi di isolamento ed esposizione per pazienti e personale, che spesso si sostituisce alle famiglie nel dare affetto e vicinanza ai tanti anziani che si ritrovano soli, spaventati. Tuttavia la forte denuncia e la richiesta di diventare autosufficienti nella produzione in modo da non dover dipendere dalle scorte di importazione sta facendo venir fuori decine di aziende che stanno producendo Dpi. Ciò dimostra che si può fare e si poteva fare prima.

Si è agito con troppo ritardo?

Credo di sì e purtroppo la curva dell’escalation di contagio è stata più rapida degli atti amministrativi. La stessa lentezza nelle assunzioni è un problema, sia perché il personale che non ha sufficiente rotazione nella turnazione è stremato, sia perché la carenza di operatori ha spinto ministero e Regioni a concordare sulla previsione di escludere dalla quarantena il personale dello stesso servizio sanitario. Ora scopriamo che il contagio tra i lavoratori della sanità è di quasi 3 mila casi, e sui tamponi rischiamo di ripetere la stessa logica dovendo poi rincorrere un’ulteriore emergenza. I tamponi vanno fatti a tutto il personale che opera a contatto con l’emergenza Covid-19, non va esclusa per nessuno la quarantena, dobbiamo fare in modo di abbassare il contagio per permettere al Ssn di rispondere a tutti i malati in modo appropriato e adeguato. 

Un gran bel caos...

Non credo sia una questione di mancanza di volontà politica, ma di incertezza nella gestione organizzativa e nella programmazione degli interventi, senza mettere a rischio la salute degli operatori. Noi abbiamo diffidato le aziende sanitarie d’Italia sul tema dei Dpi e i nostri delegati hanno monitorato reparto per reparto, azienda per azienda, tutto quello che accadeva e accade, da aziende che consegnano una mascherina con l’indicazione di tenerla per più giorni a quelle che ti danno indicazione di sterilizzare e riutilizzare una monouso, a quelle inadeguate distribuite dalla stessa Protezione civile e che poi, su denuncia dei lavoratori e del sindacato, sono state ritirate, ad aziende che sono nella difficoltà di non avere scorte e che si ritrovano le mascherine ffp2 nei distributori delle merendine gestiti dai privati che gli infermieri potevano acquistare a 10 euro, occhiali e dispositivi vari che risultano ancora carenti. Fortunatamente arrivano i ventilatori e iniziano ad esserci più Dpi, ma non siamo ancora a regime. E nessun lavoratore si è fermato, perché quando curi pensi a salvare le vite degli altri anche se metti a rischio la tua. Quindi alla domanda se si sta facendo tutto il possibile, la risposta è “si deve fare subito di più”. Ripeto, le responsabilità sono di una non corretta gestione delle scorte e degli approvvigionamenti. 



Tutti stanno giustamente sottolineando l'encomiabile lavoro di medici e infermieri. Anche chi, in questi anni, ha taciuto sui continui tagli al settore. Alla fine di questa brutta storia pensi che si potrà finalmente ragionare in modo serio e costruttivo su come tutelare e valorizzare il nostro Sistema sanitario nazionale?

Farei a loro due domande: siete disposti a ri-nazionalizzare il Ssn superando l’attuale Titolo V della Costituzione? Siete disposti a slegare il finanziamento del Ssn e dei servizi essenziali dall’andamento del Pil, ma ragionare di fabbisogni di salute? Se la risposta è sì, allora potremmo avere non solo il Ssn migliore del mondo dal punto di vista clinico, ma anche in termini di appropriatezza. Da anni diciamo che la spesa iniziale su prevenzione e medicina del territorio (cure primarie e specialistica ambulatoriale integrate nelle case della salute) potrebbe essere alta come investimento, ma nel tempo abbattere il costo del sistema di cura intervenendo sul dimensionamento della rete acuti e potenziando domiciliarità e cronicità. Se fai come in questi anni, e cioè tagli tutti e sposti quote di servizi sanitari sul mercato privato, non solo rendi più fragile il Ssn ma, come in alcune regioni, dipendi dal privato nel garantire il diritto alla salute. Bisogna rivedere il sistema di accreditamento dei gestori privati di servizi pubblici, per le prestazioni sanitarie, sociosanitarie e socioassistenziali, mettendo al centro non il margine di profitto dell’impresa privata, bensì la qualità del servizio e la garanzia del pari trattamento dei lavoratori pubblici e privati. Valorizzazione significa nell’emergenza che gli diamo presìdi di protezione e sicurezza, salario premiale, turni sostenibili, dopo l’emergenza significa continuare a dargli questi tre elementi di valorizzazione del ruolo degli operatori sanitari e, in più, rendere subito esigibile un nuovo sistema di classificazione professionale e di incarichi che riporti tutti i professionisti della sanità in un’unica cornice di incarichi e sviluppo delle carriere.

E magari cominciare a rinnovare i contratti…

Credo che anche questo debba apprezzare il nostro Paese. I contratti pubblici e privati sono scaduti, alcuni non hanno ancora ricevuto il triennio 16-18, eppure oggi materialmente i servizi pubblici tengono “vivo” il nostro Paese. C’è più generosità nei lavoratori che in tanti imprenditori che anche in queste ore dimostrano cinismo e volontà di sfruttamento nei confronti di questi custodi della Costituzione. In queste ore i lavoratori della sanità privata che lavorano sull’emergenza Covid-19 non vedono ancora rinnovato il loro contratto nazionale, il decreto Cura Italia dà la possibilità alle Regioni di compensare le prestazioni aggiuntive che il privato rende per l’emergenza, ma questi lavoratori lavorano ancora in condizioni di disparità. Nelle scorse settimane le aziende hanno costretto i lavoratori a pagarsi materialmente le ordinanze facendogli utilizzare tutti gli istituti che non comportassero oneri per le imprese, o li hanno fatti lavorare in deroga alle ordinanze, in queste ore si rifiutano di anticipare il pagamento degli ammortizzatori. Su questi temi è importante che sia le direttive della Pa che il Dl abbiano chiarito quali e quanti sono gli strumenti a disposizione dei datori di lavoro pubblici e privati. Andranno però presidiati questi strumenti sede per sede perché abbiamo sia dirigenti delle pubbliche amministrazioni sia datori di lavoro privati che, pur in presenza di norme e indicazioni, continuano a ignorarle a danno dei lavoratori. Per fortuna i contratti nazionali, gli accordi interconfederali, danno alle Rsu e agli Rls la possibilità di intervenire a tutela dei lavoratori, ma la guerra dovrebbe essere del Paese contro il Covid-19 e non tra imprese e lavoratori. Molte aziende e amministrazioni ragionano ancora come se fossimo in una situazione ordinaria, tipo ad esempio rifiutare lo smart working (che ora nelle pubbliche amministrazioni è la prassi, tranne che per le attività indifferibili) perché il lavoratore è assunto a tempo indeterminato con concorso ma ancora nei sei mesi del periodo di prova. L’emergenza ha dimostrato che per governare un’organizzazione del lavoro flessibile e reagente ai cambiamenti occorre più contrattazione e meno unilateralità aziendale.

Non solo il comparto sanitario, l'emergenza coinvolge tanti altri settori: dai Vigili del fuoco alla polizia locale, dagli agenti penitenziari a chi lavora negli uffici pubblici, da chi si occupa di igiene ambientale a chi è impiegato nel variegato mondo del terzo settore. Se ne parla poco, ma anche loro sono in prima linea, o no?

Primissima. Purtroppo contagi e decessi si registrano in tutti i nostri settori, fatti di lavoratrici e lavoratori che lavorano per il bene pubblico. Vorrei ringraziare i tanti funzionari che sono rientrati nel posto di lavoro per implementare i servizi, i tanti educatori che stanno chiedendo non di stare a casa, ma di essere messi in condizione dalle cooperative di lavorare con assistenza domiciliare o da remoto a fronte della garanzia di sicurezza e strumenti per non lasciare soli anziani e ragazzi fragili. I lavoratori della polizia penitenziaria che nelle ore tremende della rivolta non si sono comportati solo come agenti di contenimento: la Fp Cgil Polizia penitenziaria ha chiesto al ministro di farsi carico della sicurezza di tutti coloro che vivono la dimensione carceraria e di affrontare con coraggio il tema del sovraffollamento. I Vigili del fuoco che, pur essendo coinvolti dalle stesse carenze del resto del personale, operano in rafforzamento del sistema della protezione civile. Si parla poco anche dei lavoratori delle dogane, altra categoria molto esposta, e del ruolo della Polizia locale che insieme ai demografici in queste ore presidiano i comuni. Siamo riusciti ad ottenere per loro tutele: i pubblici sulla maggiorazione dello straordinario e i privati con estensione degli ammortizzatori. Nota di promemoria per il ministro della Pubblica amministrazione: tutti gli interventi del decreto Cura Italia sui dipendenti pubblici che riguardano la produttività derogano l’art. 23 del Dlgs 75/17 che imponeva il tetto al salario accessorio e che noi chiediamo di rimuovere da sempre. 



Quando tutto questo incubo sarà finito, dovremmo ricominciare a ricostruire sulle macerie che il virus ha provocato. Da dove si riparte?

Se dovessi dire da dove si ricomincia nel settore dei servizi pubblici, direi dalle città, cioè dagli ambienti urbani riprogettandoli in ottica smart, sostenibile, riqualificando abitazioni, spazi comuni e soprattutto ripensando il ruolo delle amministrazioni e della programmazione dei servizi. La nostra “rete pubblica” sta reggendo anche nel momento in cui la “rete familiare” che ha supplito in anni di tagli al welfare non può intervenire, banalmente per le misure di contenimento. Forse è il caso di ripartire da lì, dall’idea che il servizio pubblico è un bene comune e come tale fondamentale, per preservarlo bisogna innovarlo e alimentarlo, farlo crescere e strutturare.

Speriamo soltanto di fare tesoro di quanto sta accadendo per non ritrovarci, in futuro, nella stessa situazione...

L’emergenza, ci spiegano, colpisce in termini di decessi in modo importante il nostro Paese perché la popolazione è più anziana, il che vuol dire che abbiamo una speranza di vita più alta e questo è un valore. Per questo dobbiamo adeguare il nostro modello sociale ai cambiamenti demografici ma anche tener da conto di questa esperienza per un nuovo scenario: globalizzazione, circolazione di persone e merci, modificazioni climatiche sono fattori che espongono al rischio di pandemie più ricorrenti nel tempo di quanto fossimo abituati a gestire. Il primo ceppo di Sars-CoV fu scoperto nel 2002, quello che stiamo contrastando ora appartiene alla stessa famiglia di Coronavirus. Potrebbe essere un’emergenza legata alle fonti energetiche, a un crac informatico o finanziario, sanitario o ambientale, il mondo globale non ha confini che tengano al riparo nessuno, l’unica speranza è lavorare cooperando.

Se dovessimo trovare un aspetto positivo, forse questa brutta storia ha scoperto, o riscoperto, in noi cittadini valori e atteggiamenti fino a ieri nascosti. Sei d’accordo?

Io direi che nell’emergenza il Paese ha riscoperto l’importanza della coesione, della collaborazione, della cooperazione, della solidarietà. Solo qualche mese fa prevalevano l’odio sociale, la contrapposizione di interessi, gli autonomismi e il rivendicazionismo territoriale, la rottura dei legami di comunità. Ha scoperto anche l’importanza dell’innovazione nella gestione dei servizi, delle attività delle pubbliche amministrazioni, nello sviluppo di beni e materiali e nella ricerca e istruzione pubblica. Si può vivere e lavorare gestendo la prestazione lavorativa in modo più agile e sicuramente questo cambierà molta della narrativa di questi anni sul tema della produttività legata alla presenza e al controllo, forse ci aiuterà a ragionare, almeno per le pubbliche amministrazioni, di obiettivi ed esiti. Siamo uno straordinario Paese, con una straordinaria ricchezza di saperi, competenze, beni pubblici come la cultura e l’ambiente. Bisogna coltivare questo spirito cooperativo, serve una mobilitazione sociale e produttiva non per ritornare al punto di partenza, ma per cogliere l’occasione di candidarsi a un futuro sostenibile davvero: servizi pubblici come beni essenziali, servizi privati che rendano compatibile vita e lavoro, riconversione produttiva con uno sguardo globale.