Lo scorso 4 dicembre è stato presentato il XXVII Rapporto congiunturale del Cresme secondo il quale, “se non emergeranno situazioni di crisi esogene alle costruzioni, i prossimi tre anni potranno essere anni caratterizzati da una ripresa stabile dell’edilizia e delle opere pubbliche”. Ammesso che ciò potesse accadere – pur sempre di previsioni si tratta – quel “se”, purtroppo, pare proprio arrivato ed ha naturalmente le sembianze del coronavirus. Fioccano le previsioni più nere sull’economia globale; l’ultima, non per autorevolezza, è quella dell’Ocse che ha indicato per il prossimo anno un taglio del Pil globale del 1,5 per cento. Taglio che per l’Italia arriva addirittura allo zero: niente crescita, seppur minima.

Cosa potrebbe accadere, in questo contesto, a un settore già in grande difficoltà come l’edilizia tradizionalmente molto legato all’andamento del ciclo economico? Una rilevazione interessante della Cerved Rating Agency valuta, sulla base degli attuali giudizi espressi su 25.000 aziende, il rischio default delle aziende dei diversi comparti. Ebbene, in entrambi gli scenari, sia sotf (un’epidemia che dura 3-6 mesi), sia hard (crisi più lunga) la speciale classifica delle aziende con probabilità di fallire vede in cima proprio le costruzioni: rispettivamente, il 10,6 e il 15,4 per cento del totale.

Sarebbe ovviamente una catastrofe per un settore già in grande sofferenza. I dati sono allarmanti: in dieci anni si sono persi 540.000 posti lavoro, il 50 per cento delle ore lavorate, il 44 per cento di lavoratori e il 42 per cento delle imprese. Rispetto al 1998 la massa salariale si è quasi dimezzata.

Naturalmente nessuno può ancora prevedere con certezza durata e impatto del covid -19, tuttavia l’allarme c’è e molto spesso le emergenze possono offrire il destro a tentativi di essere piegate per fini che non sempre sono quelli che si dichiarano. E così, in tema di edilizia, si è tornati con forza - lo hanno fatto Ance e Confindustria, ma anche alcuni esponenti politici – a rilanciare il più classico dei dogmi neoliberisti. Quello per cui, a fronte di un rischio di stallo, per far partire o ripartire i cantieri bisognerebbe deregolamentare e sciogliere i lacci, semplificare, ricorrere a commissari straordinari. Il pensiero va naturalmente al Codice degli appalti, uno strumento fondamentale per cercare di limitare l’illegalità e quella catena di appalti e subappalti che allungano la filiera, rendendo così difficili i controlli e la tutela dei lavoratori e che periodicamente viene messo in discussione. Come, seppur implicitamente, in questo caso.

Sono idee che la Fillea Cgil, per bocca del suo segretario generale, Alessandro Genovesi, rispedisce al mittente. “Bene un’accelerazione di scelte, anche innovative, per rispondere agli effetti economici che l’attuale situazione connessa al Coronavirus sta producendo, bene quindi ogni strategia di sistema per creare lavoro e sviluppo, facendosi carico delle difficoltà momentanee di alcuni territori ed aziende, anche mettendo gli investimenti in conto capitale fuori dai vincoli europei, a partire da quelli green, ma niente colpi di mano sulle regole degli appalti o sulle tutele dei lavoratori”. Tuttavia, per il sindacalista, “sbaglia chi ipotizza che, per accelerare gli investimenti pubblici e l’apertura dei cantieri, occorra ricorrere a Commissari straordinari a pioggia su decine e decine di opere pubbliche, anche di medie dimensioni, in deroga al Codice degli Appalti”. “Chiunque, Governo ed aziende in primis – attacca –, volesse strumentalizzare le difficoltà economiche, diverse delle quali presenti già da tempo, per liberalizzare il sub appalto, per indebolire ulteriormente le procedure anti mafia, per tornare al ricorso esclusivo al massimo ribasso, per ridurre le diverse forme di responsabilità in solido, troverà la nostra ferma opposizione. Niente colpi di mano, inaccettabili per noi e per i lavoratori delle costruzioni”. Insomma, solo nel rispetto delle regole “si può rilanciare l’economia senza però trasformare i luoghi di lavoro in un nuovo Far West”.

Una posizione condivisa da chi fa la sua attività sindacale in due tra i territori che in questi giorni sono stati i più colpiti dal contagio: Lombardia e Veneto. Ivan Comotti, segretario generale della Fillea lombarda, sottolinea innanzitutto come in questa fase, per la capillarità della presenza dei cantieri sul territorio, sia molto difficile fare un bilancio esatto dei lavoratori che sono stati bloccati dal virus: “Per questo – spiega – con i sindacati di categoria di Cisl e Uil e con l’Ance regionale abbiamo inviato una lettera alle casse edili con la quale invitiamo tutti, imprese e consulenti, a compilare la denuncia di cantiere. Solo in questo modo potremmo sapere il numero dei lavoratori che, magari poiché vengono dalla zona rossa, non sono potuti andare al lavoro”. Si tratta ovviamente di un passo fondamentale per poi ragionare sui necessari ammortizzatori sociali. E anche per capire come il lavoro procede nei vari siti. Il cantiere, spiega il sindacalista, è molto localizzato, ma ha una struttura complessa in cui le varie fasi dei lavori si susseguono in maniera consequenziale: “Se ad esempio i ‘ferraioli’ (coloro che predispongono le gabbie su cui poi si fa la gettata di cemento, ndr) non possono raggiungere il luogo di lavoro, il cantiere non può andare avanti”.

In ogni caso, per il segretario della Fillea Lombardia, misure straordinarie oggi non servono: “Alcune fasi lavorative non si svolgono per una situazione contingente legata al virus, non perché ci siano dei malfunzionamenti di sistema delle regole. Chi dice queste cose non conosce i cantieri e non sa neanche che, nonostante la crisi, in molti territori della Lombardia i cantieri si aprono”. Una riflessione, rispetto all’impegno delle imprese, va fatta invece sul lavoro agile: “Grandi realtà come Impregilo e Italcementi si affrettano a farne ricorso. Sono le stesse che spesso pongono molti ostacoli per noi ingiustificati, su questo strumento, in sede di contrattazione integrativa. Evidentemente la paura che i lavoratori si ammalino e si assentino dal lavoro in questo caso prevale”

Sulla stessa lunghezza d’onde il Veneto, altra regione colpita dal covid -19. “In Regione per ora non stiamo assistendo a blocchi di cantieri – rassicura Francesco Andrisani, segretario generale della Fillea regionale –. Certamente occorre aprirne altri, visto che negli anni abbiamo perso il 40 per cento della forza lavoro nel settore e abbiamo opere cantierabili ma bloccate per un valore di 6 miliardi. Ma tutto ciò con l’emergenza coranoavirus non c’entra nulla, né pensiamo sia utile introdurre fattori deregolatori e straordinari che possono favorire l’illegalità e il malaffare che noi vogliamo combattere”. Qualche problema, semmai, l’emergenza lo crea allo svolgimento dell’attività sindacale nei grandi cantieri come quello della Pedemontana: “Abbiamo dovuto sospendere la nostra attività di assistenza in loco ai lavoratori perché non c’erano le condizioni per rispettare le norme sanitarie decise dal governo”. Questa però è un’altra storia: fare sindacato in epoca di coronavirus. Diversa ma ugualmente importante.