La Fillea Cgil si prepara al suo XX congresso, a Modena dall'8 al 10 febbraio. Quella delle costruzioni è oggi più che mai una filiera strategica per il Paese. “La nostra può essere una categoria 'di frontiera'. Perché è al centro dello scontro tra 'produzione e rendita', tra 'transizione energetica e status quo'”, afferma il segretario generale Alessandro Genovesi -. Siamo al centro della transizione demografica, culturale e multietnica, della nuova conformazione dei luoghi fisici e dei flussi urbani. Non è un caso se la maggior parte delle risorse del Pnrr, comunitarie e nazionali, intervengono su ambiti, dalle infrastrutture all’edilizia pubblica, dalla cura del territorio alla rigenerazione urbana, che hanno al centro la filiera delle costruzioni”. È una sfida complessa, “ma da questa complessità vogliamo ripartire, per affrontarla e non per ignorarla. Per questo abbiamo scelto lo slogan '+ contrattazione + rappresentanza = + democrazia'. Perché intorno a queste coordinate dobbiamo costruire strumenti, azioni e dimensioni di senso, in grado di tutelare i lavoratori nel mondo che cambia. Dal lavoro dark a quello green, dal lavoro gerarchizzato a quello più orizzontale, da quello a basso contenuto tecnologico a quello integrato con l’Intelligenza artificiale”.

Arrivate però al Congresso con una serie di risultati positivi. A partire dai contratti.
Si, come è stato riconosciuto dallo stesso documento “Il lavoro crea il futuro”, che non a caso chiede di estendere alcune conquiste ottenute dalla Fillea anche ad altri settori, siamo reduci da una stagione positiva. Sul piano contrattuale tra il 2018 e il 2022, unitariamente, abbiamo rinnovato tutti i nostri Ccn con oggettivi avanzamenti. In edilizia abbiamo messo in sicurezza la funzione contrattuale delle casse edili, promosso il Fondo sanitario e soprattutto avviata una strategia di “qualificazione delle imprese, qualificando il lavoro”, equiparando salari e costi contrattuali in tutti i contratti nazionali (Ance, Coop, Confapi, Artigiani) e rafforzando i presidi di legalità. Dalle ore minime da dichiarare ai fini dell’anzianità professionale al rilancio della formazione e della sicurezza fino ai riconoscimenti salariali è stato un processo che, con il rinnovo del 2022, ha avuto il suo riconoscimento con le norme contro il sotto inquadramento e il rilancio delle scuole edili.

Ora sta a noi applicare il contratto e implementarlo con i secondi livelli territoriali. Negli impianti fissi abbiamo lavorato molto su professionalità, sicurezza e salario, tanto che la “doppia pista” nel Cnnl del legno è stata addirittura riconosciuta dal rapporto Istat 2022 sui salari come una delle migliori soluzioni per garantire la difesa dei salari dall’inflazione, grazie all’uso dell’Ipca non depurato.

E sul piano normativo?
Un grande risultato è stata l’attuazione del Durc di congruità. Molto rimane da fare ma già vediamo i positivi risultati di una certificazione obbligatoria sull’incidenza della manodopera che, estesa anche ai lavori privati, sta facendo emergere milioni di euro di massa salari, riducendo anche il dumping contrattuale. Questo è stato possibile grazie a un accordo con tutte le imprese che il Ministro Orlando ha tradotto in un decreto ministeriale, il 143/21. Abbiamo conquistato la parità di trattamento economico e normativo e l’applicazione dello stesso Ccnl tra lavoratori in appalto e lavoratori in sub appalto, con il decreto 77/2021. Risultato giunto a seguito delle mobilitazioni che, pochi giorni dopo, portarono prima a un confronto tra Presidenza del consiglio e le organizzazioni sindacali e poi all’intesa. A dimostrazione che quando si vuole, si possono trovare soluzioni utili e condivise.

Facemmo - quella notte a Palazzo Chigi - una “mossa del cavallo” per cui puntammo alla qualificazione della filiera con la reintroduzione parziale dell’art. 3 della legge 1369 del 1960. Insomma abbiamo tradotto in concreto lo slogan “stesso lavoro, stesso contratto”. E poi la legge 25/2022 che subordina gli incentivi pubblici dati ai privati, i vari bonus edili, all’obbligo di applicare i contratti di settore comparativamente più rappresentativi. Una conquista che, tolto il regime storico nei porti, nessun altro comparto privato ha.

E rispetto alle grandi opere?
Tutto quello che abbiamo provato a praticare è un “accompagnamento contrattuale e normativo” a una gestione sindacale basata sulla contrattazione preventiva, delle risorse del Pnrr, del Fondo complementare e degli accordi di programma Anas e Rfi. Ricordiamo gli accordi sottoscritti nel 2020 con il Ministro Paola De Micheli, poi ribaditi e implementati con il Ministro Giovannini, con Anas e Rfi, con i commissari straordinari ex articolo 4, fino agli Atti d'indirizzo del Mims nel 2022. Il tutto collegando sempre di più rispetto dei perimetri contrattuali e Allegato X del Dlgs. 81/2008.

Tutto bene quindi?
Assolutamente no, anzi. Per assurdo la ripresa del settore con il super bonus e lo stesso Pnrr, non preceduta da una seria qualificazione all’ingresso delle imprese, hanno esacerbato situazioni al limite. Dalla salute e sicurezza, con aumenti di carichi, orari, ecc. che stanno facendo aumentare gli infortuni, alla nascita di imprese improvvisate che spesso sono scatole vuote, cottimisti e caporali legalizzati. E poi il divario tra eccesso di domanda e qualificazione di figure operaie e tecniche a cui, se non mettiamo mano, corrisponderanno rallentamenti anche delle opere previste dal Pnrr oltre che meno rigenerazione e riqualificazione.

Con il nuovo Governo, a partire dal Codice appalti, si rischiano passi indietro?
Il rischio è evidente e per questo la priorità dovrà essere innanzi tutto mettere a terra i tanti avanzamenti registrati. Più i lavoratori vedranno concretamente i benefici più saranno pronti a difenderli. E questo compete a noi, ai delegati, a come stiamo nelle Casse edili, ecc. Sicuramente il Codice degli appalti proposto dal Governo Meloni rischia di farci tornare indietro. Con una contraddizione in più: quando il Parlamento, nella passata legislatura, votò la legge delega, esprimemmo un giudizio positivo: vennero ribadite infatti tutte le tutele conquistate negli anni, con anche alcune positive novità tra cui il principio, fortemente rivendicato dal sindacato, di escludere dai ribassi d’asta i costi della manodopera oltre che di riconoscere nell’adeguamento prezzi anche gli aumenti contrattuali. Lo stesso Consiglio di stato fa un buon lavoro. È nella fase successiva che “scende in campo” il Governo Meloni.

Le bozze dei decreti legislativi non sono mai state oggetto di un confronto tra il Governo e il sindacato, a differenza del passato. Il decreto legislativo ha in sé limiti evidenti che renderanno più difficile esigere concretamente le tutele che ci siamo conquistati. Il primo grande problema è quello di aver liberalizzato i livelli di sub appalto. Il cosiddetto “sub appalto a cascata” rischia di portare i problemi dell’edilizia privata nel settore pubblico. Sparisce infatti quanto previsto finora dal Codice appalti vigente che vieta di sub appaltare quanto già sub appaltato, ovvero sia vieta un secondo (o superiore) livello di sub appalto.

Cosa potrebbe succedere?
Dal 1° luglio 2023 potremmo assistere a una frammentazione dei cicli produttivi teoricamente senza limiti, al massimo incentivo al nanismo aziendale - se va bene - alla nascita di imprese senza dipendenti o solo con qualche tecnico come probabile, cioè cottimisti e caporali legalizzati. Insomma quello che abbiamo visto con imprese improvvisate dopo il super bonus, con i lavoratori agli ultimi livelli della catena superstruttati e con minore organizzazione sui cantieri. Sarà molto più difficile per tutti, sindacati, imprese serie, Pubbliche Amministrazioni verificare e far rispettare le stesse norme sulla salute, sul rispetto dei Ccnl, sulla parità di trattamento, sul Durc di congruità. Del resto, quello che denunciamo sul sub-appalto non è una novità: è quanto denuncia da tempo la nostra Federazione europea. Si veda la campagna “Stop Exploitation in sub contracting chains!” di queste settimane.

Altre sono le priorità: meno stazioni appaltanti ma più qualificate e con più tecnici, digitalizzazione e interconnessione di tutti i dati, incentivi alla crescita dimensionale delle imprese e alla loro qualificazione. Su questi punti chiediamo al Governo e soprattutto al Parlamento di battere un colpo. E lo chiediamo unitariamente, ci tengo a sottolineare. Noi, comunque dobbiamo attrezzarci a tutti i livelli, nazionale e territoriale, già dai prossimi mesi e con tutti gli strumenti a nostra disposizione: contrattuali e vertenziali. Pronti anche alla mobilitazione. Perché noi siamo i primi che vogliamo spendere le risorse pubbliche, ma vogliamo spenderle bene, creando lavoro stabile, sicuro, pagato il giusto.