Pubblichiamo qui la lettera della paziente di un reparto psichiatrico, in forma anonima, dedicata ai medici e agli infermieri che l'hanno curata. Una testimonianza importante, che non si vede tutti i giorni, per capire meglio cos'è il rapporto tra medico e paziente, la dura lotta e la gioia della guarigione. Decidiamo di lasciare intatte le imperfezioni del testo, che sono una parte importante della sua essenza.

Dedicato a Voi.
Caro SPDC, o qualunque sia la sigla che nonostante quasi tre settimane continuo a non ricordarmi. L'idea iniziale era quella di scrivere queste parole a mano, ma sapete: quando si è Einstein, ma ci si dimentica di essere un po' depressi, coesistono elevate possibilità che si sbaglino i conti e si finisce a fare cazzate.

Ora. NO, questa non è una di quelle lettere di ringraziamento tipo "lockdown 2020" dove tutti applaudivano, urlavano dai balconi (che tra parentesi il mio affacciava sul cortile di casa mia quindi era tipo un'autoconsolazione) e scrivevano a caratteri cubitali "ANDRÀ TUTTO BENE", bene poi per chi questo io devo ancora capirlo visto che, per mio onestissimo parere, sembra sia andato tutto tranne che bene.

Tornando alle cose serie: molto probabilmente quando e se leggerete queste parole io sarò in viaggio, ma oltre a utilizzare un po' di sano egoismo per rubarvi un piccolo momento di tempo, volevo lasciare indelebili delle parole (non ho utilizzato il termine ringraziamenti - guardate come lo userò - perché mi suonava tanto da laurea ecco.) cui penso da giorni.

Ora, difficile capire da dove cominciare, ma ecco quando il mondo era diventato troppo oscuro, l'orologio ticchettava sempre più rumorosamente il passare di un tempo innegabilmente vuoto e sempre più pressante, e la mia vita danzava su un filo fin troppo sottile per reggere ancora a lungo, ho trovato voi pronti a prendervi cura di una ventunenne che si era abbandonata a se stessa. Siete stati capaci di esserci in ogni piccola sfaccettatura e si, so che questo è il vostro lavoro, ma esistono modi e modi di lavorare e lo sapete sicuramente meglio di me.

Non volendo far polemica e senza dilungarmi troppo, ne approfitto per rubare un altro minuto per raccontarvi la mia gratitudine attraverso un ricordo: la prima volta che ho sentito i miei genitori al telefono, nonostante stessi malissimo, inspiegabilmente mi sentivo protetta e gli ho detto "sapete, qui sono tutti gentili ed è così strano, perché di solito non ti aspetti ciò, nessuno si interessa a te" e so che forse non lo comprenderete ma io ero davvero esterrefatta dai vostri modi. Siete stati un po' la prima piccola luce che ho visto nel buio totale che mi circondava e da cui credevo non esistesse una via di fuga (e pensate un po', guardatemi ora, che ne sto anche parlando al passato).

Ultima cosa e poi giuro concludo. Molto probabilmente a voi suonerà stupido, ma i primi mattoni su cui ricostruirò la mia vita saranno impregnati di ricordi, di momenti, con ognuno di voi (un po' come succedeva in quel film, di cui ora non ricordo assolutamente il none, dove in breve le emozioni nella testa registravano i ricordi e quelli più importanti li mettevano in quella teca rotonda: ecco, i ricordi legati a voi caro SPDC, andranno nella teca).

Ora davvero penso di essermi dilungata un po' troppo, eppure sono milioni le cose che vorrei dirvi. Quindi. Primo sospiro Allora. Secondo sospiro. Andando al sodo e concludendo: grazie.

Perché è da tutti essere semplicemente "essere umani", ma non è da tutti esserlo nella sensibilità della sua fragilità. Con la speranza e l'augurio d'incontrarci nuovamente in futuro per motivi completamente diversi, continuo a ringraziarvi dal profondo del mio cuore. Per Aspera ad Astra.

P.S. Quasi dimenticavo il ringraziamento più importante: quello alla sedia verde. Perché oltre al vostro incessante lavoro unito a quello dei farmaci, è stato solo grazie a lei che ho avuto i migliori sonnellini curativi.