Turni di lavoro massacranti, anche fino a 15 ore al giorno, stipendi in nero e richiesta di prestazioni sessuali con minaccia di licenziamento. I Finanzieri del Comando Provinciale di Vicenza, su delega della locale Procura della Repubblica, hanno notificato, nei confronti di tre dirigenti di una S.p.A. con sede a Posina (Vicenza) operante nel settore delle acque minerali, un'ordinanza contenente 3 misure cautelari interdittive emessa dal Tribunale di Vicenza.

Le indagini, condotte dalle Fiamme Gialle della Compagnia di Schio, traggono origine dalla presentazione di un esposto da parte di alcuni dipendenti, tutti di nazionalità moldava, formalmente inquadrati all'interno di una cooperativa e di una S.r.l.s. con sedi in Lombardia ma, di fatto, impiegati all'interno di una società vicentina, attiva nel settore dell'imbottigliamento di acqua minerale e di bibite analcoliche, che lamentavano reiterate condotte di sfruttamento del lavoro. Gli approfondimenti investigativi hanno consentito di portare alla luce turni di lavoro massacranti, fino a 15 ore giornaliere, senza interruzioni, mancate fruizioni di pausa pranzo e riposi festivi, corresponsioni di gran parte degli stipendi 'in nero' (per occultare gli effettivi orari di servizio), il tutto sotto la costante minaccia di un ingiusto licenziamento.

Con la complicità di un soggetto di nazionalità moldava facente le funzioni di 'caporale' venivano 'arruolati' connazionali in patria mediante la predisposizione di falsi documenti di identità romeni per consentire l'illegale ingresso sul territorio nazionale senza permesso di soggiorno come normali cittadini Ue, pur essendo di fatto clandestini. Secondo la ricostruzione investigativa, infatti, l'assunzione avveniva direttamente in Moldavia tramite conoscenza diretta con lo stesso caporale, il quale provvedeva a procurare, dietro corresponsione di denaro, un documento di identità comunitario, sovente contraffatto, determinando il loro ingresso nel territorio dello Stato; gli stessi lavoratori venivano indiscriminatamente adibiti a carrellisti, a prescindere dal possesso o meno dell'apposito patentino per muletto, circostanza che ha evidentemente elevato il rischio di infortunio sul lavoro all'interno della fabbrica.

In due occasioni, il caporale ha imposto o tentato di imporre prestazioni sessuali a dipendenti neo-assunti, sotto minaccia di licenziamento. Accertato anche l'impiego di un minore, per il quale erano stati inseriti dati falsi nella richiesta di attribuzione del codice fiscale all'Agenzia delle Entrate al fine di farlo figurare come maggiorenne e farlo assumere in fabbrica. Dalle indagini è emersa la consapevolezza della struttura aziendale della S.p.A. (presidente del Cda, direttore di stabilimento e responsabile di magazzino e della distribuzione interna) delle condizioni di lavoro e delle condotte di sfruttamento messe in atto dal caporale: addirittura in un caso, in una conversazione mail captata nel corso delle attività di perquisizione, i dirigenti aziendali definiscono le ore prestate da alcuni operai ''al limite della definizione di schiavitù fornita dall'Onu''.

Sulla base di tali elementi, il Gip presso il Tribunale di Vicenza, su richiesta della locale Procura, ha emesso un'ordinanza applicativa di misure cautelari personali nei confronti di tre persone del management aziendale ritenute responsabili, con cui ha disposto l'interdizione, per la durata di dodici mesi, a esercitare qualsiasi attività amministrativa, direttiva e di lavoro autonomo o subordinato. Sono allo stato indagate 7 persone fisiche, a vario titolo, per i reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro aggravato, violenza sessuale, favoreggiamento dell'ingresso illegale nel territorio dello Stato, soggiorno illegale nel territorio dello Stato, utilizzo di manodopera clandestina, possesso e fabbricazione di documenti d'identificazione falsi e falsità materiale commessa da privato. Anche la S.p.A. è stata segnalata all'autorità giudiziaria per la responsabilità amministrativa dell'Ente dipendente dai reati, presupposto dell'intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, del favoreggiamento dell'ingresso illegale nel territorio dello Stato e dell'impiego di manodopera clandestina.

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"È raccapricciante - ha detto Giosuè Mattei, segretario generale Flai Cgil Veneto - il quadro emerso dalle indagini eseguite dalla Guardia di Finanza di Vicenza presso lo stabilimento Fonti di Posina Spa della provincia berica. I reati contestati fanno emergere uno spaccato della situazione lavorativa dei dipendenti della cooperativa a cui era affidato, in appalto, la logistica e il magazzino non degno di un paese civile. La sequela di reati ipotizzati ha pochi precedenti: caporalato, sfruttamento lavorativo, lavoro nero, lavoro minorile, violenza sessuale, intermediazione illecita di manodopera, contraffazione di documenti, tratta di esseri umani.  

Noi - come FLAI CGIL VENETO - lo avevamo dichiarato già a proposito dei casi di Grafica Veneta e Fincantieri, che eravamo di fronte solo alla punta di un iceberg, ma pensavamo di aver visto le situazioni peggiori in termini di sfruttamento lavorativo ai danni di lavoratori inermi, che hanno la sola colpa di aver bisogno di lavorare. E, invece, le notizie di oggi sono addirittura peggiori.  

Se questo è il prezzo che i lavoratori e le lavoratrici devono pagare sull'altare del profitto delle imprese, è arrivato davvero il momento di dire basta! Non può più essere tollerata una simile gestione dei cantieri in appalto, con l’illegalità e lo sfruttamento che nella maggior parte dei casi rappresenta la regola; e chi afferma il contrario finge di non vedere quale sia lo stato delle cose.  

Ad aggravare le responsabilità di Fonti di Posina, secondo gli inquirenti, è non solo la consapevolezza di quello che accadeva da parte dell’Azienda committente, ma addirittura la connivenza con gli sfruttatori. 

Invitiamo il mondo delle imprese a fermarsi, a riflettere su un metodo che scarica i costi sui lavoratori al solo scopo di massimizzare i profitti. Il sistema degli appalti e dei sub appalti è in gran misura incontrollato, e vede protagoniste sempre più spesso cooperative fittizie e prive di scrupoli. Se, invece, anche dopo quanto accaduto, non cambierà nulla, vuol dire che l'idea di lavoro che si coltiva è strutturalmente fuori dalla Costituzione e dalla legalità.  

Non è più né ammissibile né tollerabile una situazione di questo genere nelle fabbriche della nostra Regione e del nostro Paese. E di questo dovrebbero convincersi non solo gli attori economici, ma le Istituzioni sia locali che nazionali, e agire di conseguenza. 

Il sindacato farà fino in fondo ciò che deve per continuare a denunciare e per cambiare questo inaccettabile modello di sviluppo".