Il 2020 si era chiuso senza quattordicesima e con lo stipendio di dicembre dimezzato, ammanco non da poco per lavoratrici e lavoratori impiegati in uno stabilimento termale, attivo di norma circa sette mesi l’anno. Ma si sono aperti degli spiragli per gli addetti delle terme di Santa Cesarea, oggi in sit-in davanti al comune del centro salentino, per reclamare le loro mensilità – per alcuni di loro a mancare è anche lo stipendio di gennaio - e soprattutto per chiedere lumi sul futuro delle terme, un’azienda pubblica per il 51% di proprietà della Regione Puglia e per il 49% del Comune di Santa Cesarea, che dà lavoro a 116 persone.

Mentre era in corso la manifestazione le delegazioni sindacali hanno incontrato sindaco e rappresentanti del consiglio regionale e raccolto il loro impegno ad anticipare il budget annuale di 1.200.000 euro previsto per le cure in convenzione con la Regione, il comparto della struttura che ha subito la contrazione maggiore, con un calo del 40%.

L’anticipo fornito dalla Regione, da recuperare nell’arco di cinque anni, consentirà di pagare i lavoratori e mettere mano alle opere di manutenzione. “C’era forte preoccupazione sulla ripartenza della stagione 2021 – spiega Mirko Moscaggiuri, segretario generale della Filcams di Lecce – la crisi di liquidità che sta vivendo l’azienda metteva a rischio la riapertura. L’altra novità emersa dal confronto di oggi è la prossima dismissione, per obbligo legislativo, delle quote della Regione a favore del Comune, che diventa così socio di maggioranza e deve individuare un amministratore, dal settore privato, che garantisca l’occupazione futura”.

Nel 2020 lo stabilimento ha aperto a metà giugno invece che a fine aprile e ha chiuso i primi di dicembre. “Abbiamo cercato di tenere una stagione simile alle altre – racconta Miria Assalve, delegata Filcams Cgil delle terme di Santa Cesarea – ma c’è stato un calo drastico di presenze. Io sono fisioterapista, siamo sette unità dedicate ai massaggi, lavoriamo in quattro o cinque di solito e solo a fine stagione tutte insieme: quest’anno abbiamo lavorato al massimo in tre unità, tra fine agosto e fine settembre, e quasi mai a regime orario, per via della cassa integrazione. Nel periodo restante eravamo in due, a volte una sola, per coprire il servizio, per dire che abbiamo voluto tener duro e aprire”.

La cassa integrazione ha interessato quasi tutto l’organico, chi a turno chi per l’intera stagione. “Per questo adesso la prima preoccupazione è il pagamento, non è facile, considerato che siamo a zero stipendio nei mesi in cui l’azienda è chiusa” ricorda Miria. “Abbiamo anche contratti a tempo indeterminato, che l’azienda deve comunque onorare. La nostra stagione deve essere programmata a breve e abbiamo bisogno di un interlocutore che possa darci delle prospettive: l’ipotesi di una gestione privata su proprietà pubblica va bene, l’importante è che comporti maggiori certezze a lungo termine”.

La mancanza di progettualità grava da anni ormai sulla struttura salentina. Il lavoro è cambiato nel tempo, all’attività sanitaria si è aggiunto il marketing del benessere, però, spiega la delegata Filcams, che lavora alle terme di Santa Cesarea dal ’97, “non c’è stato un adeguato supporto strutturale e l’accoglienza non è più quella di una volta”. Calo di accessi, riduzione del personale, e questo nonostante l’azienda abbia grandi potenzialità. “Non le hanno sapute sfruttare. Si è parlato di destagionalizzazione, di lavoro invernale, davvero si sarebbe potuto fare tanto, ma alla fine siamo sempre lì, con pochi mesi di lavoro all’anno, e nella maggior parte di noi c’è ormai la rassegnazione a vivere in questa condizione borderline”.
Ora i lavoratori sperano di essere inclusi nel processo di cambiamento e ristrutturazione che interesserà l’azienda, “ma la prima preoccupazione è sempre la retribuzione, quella che dobbiamo ricevere adesso, quella che deve essere garantita per il futuro”.