Le motivazioni sono varie, i settori sono diversi, le informazioni fornite non sempre complete. L’unico dato che accomuna tutte le situazioni riguarda i numeri e i tempi delle deroghe richieste dalle aziende che cominciano a scalpitare e che cercano di “portarsi avanti con il lavoro”. Siccome pare sia ormai scontato il rinvio della data inizialmente prevista dal governo per il 3 aprile, molte aziende presentano le loro domande per poter ricominciare le attività comunque dalla prossima settimana. Naturalmente in deroga dall’accordo governo sindacati e dal decreto. Anche in Emilia Romagna si ripete dunque la situazione che caratterizza i principali distretti industriali del Paese. Le aziende mordono il freno. Non ci vogliono stare a fermarsi perdendo terreno sulla concorrenza. In alcuni casi informano e trattano con il sindacato. In altri cercano di aggirare il più possibile ogni forma di contrattazione premendo sul responso positivo della Prefettura di turno.

In Emilia Romagna, secondo i dati delle Prefetture (a cui il decreto del governo ha affidato appunto il compito di decidere sulle riaperture), solo a Piacenza sono state presentate 1100 domande di deroga. A Parma 600, a Modena 2000. A Bologna le domande hanno raggiunto quota 2500. A Ferrara 1000. A Ravenna siamo sulle 1000 domande, mentre nel distretto Forlì-Cesena ci si attesta sulle 600 domande. Mancano ancora i dati di Reggio Emilia (si sapranno domani) e di Rimini. E mancano soprattutto all’appello i dati della miriade di piccole e piccolissime imprese dove il sindacato non è presente. I dati macro che ci ha fornito il segretario generale della Cgil Emilia Romagna, Luigi Giove, riguardano infatti solo le grandi e medie aziende dove il sindacato e presente e dove sono attivi quindi le Rsu e i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Il lavoro di cernita da fare è enorme. Perché ovviamente si tratta di capire se le motivazioni (o giustificazioni) addotte dalle imprese sono oggettive o sono al contrario solo un modo per aggirare l’ostacolo. Per il sindacato il lavoro è doppio perché da una parte vanno verificate (laddove è possibile) le informazioni e dall’altro vanno verificate le condizioni di sicurezza e il rispetto del Protocollo generale firmato con il governo. In molti casi sono le Prefetture stesse che chiedono anche il parere del sindacato prima di dare il via libera alla riapertura. In altri casi le Prefetture fanno finta di niente e procedono autonomamente forti della “lettera” di incarico ricevuta da Roma.

“Questa settimana è relativamente tranquilla - ci dice Samuele Lodi, segretario regionale della Fiom - il bello ci sarà la prossima settimana perché molte aziende si preparano già alla forzatura. Su 2800 industrie metalmeccaniche in Emilia Romagna 1800 questa settimana sono chiuse, siamo quindi nell’ordine del 70%. Duecento industrie, che sono state inserite negli elenchi dei lavori essenziali, vanno invece avanti. Ma dalla prossima settimana cambierà tutto e si apriranno sicuramente dei contenziosi con aziende che non solo vogliono forzare il blocco ma che non avranno neppure tutte le misure di sicurezza necessarie a garantire la salute dei lavoratori. Ci attende un confronto faticoso”.

Nel frattempo procedono le verifiche che in alcuni casi vengono affidate direttamente alla Guardia di Finanza o ai Vigili del Fuoco. Secondo il sindacato sarebbe necessario poi, oltre alle Prefetture, coinvolgere anche le Camere di Commercio soprattutto nella verifica del pulviscolo diffuso delle microimprese. In ballo non ci sono ovviamente solo le fabbriche metalmeccaniche. Ci sono anche altri settori industriali in cui si sta per preparare un braccio di ferro tra management e sindacato. Uno di questi settori è la ceramica molto sviluppato in questa Regione. Il distretto della ceramica di Modena e Reggio Emilia, per esempio, è uno dei più forti nel Paese. “Le pressioni che riceviamo dalle aziende - spiega Maritria Coi, della Filctem regionale - le direzioni aziendali utilizzano il pretesto dei controlli dei forni per riaprire, ma è appunto un pretesto perché questo tipo di controlli si possono fare anche da remoto come si fa d’estate quando tutti i forni sono spenti per le ferie”. Anche nel settore della ceramica le aziende stanno insomma cominciando a prendere la rincorsa. “Se un’azienda forzasse - dice Maritria Coi – anche le altre si accoderanno”. Diverso il discorso per un altro settore industriale: il tessile e la moda. In questo caso si assiste a processi “virtuosi” anche se dovuto all’onda del momento. Molte aziende, ci racconta ancora la sindacalista della Filctem, stanno riconvertendo parte delle loro produzioni per fare mascherine e camici. In questo modo producono cose che servono come il pane in questo momento e nello stesso tempo aggirano il divieto di produrre. Se continuassero a produrre semplice abbigliamento dovrebbero rimanere chiuse perché non essenziali.

Per quanto riguarda nello specifico la situazione generale di Bologna, Maurizio Lunghi, segretario della Camera del lavoro, fa il punto sulle molte iniziative di protesta e di sciopero già realizzate dai lavoratori. Il sindacato ha cercato di resistere alla minaccia delle aziende di voler rimanere aperte nonostante le indicazioni e alla faccia delle misure di sicurezza. Ma tutto questo avveniva prima del varo del decreto che ha sancito la distinzione tra lavori essenziali e non essenziali. Ora la situazione si è apparentemente tranquillizzata, ma il fuoco continua a bruciare sotto la cenere. Molte aziende sono pronte alla forzatura anche se, come dice Lunghi, hanno i magazzini di stoccaggio pieni perché anche la logistica è ferma.