Sono Dario, ho 38 anni, vivo in provincia di Bergamo. Lavoro in un’azienda chimica del territorio, una realtà che impiega circa duecento persone e che, fra le varie attività, fornisce anche prodotti per uso medico fondamentali in terapia intensiva. Siamo quindi impegnati in prima linea per fronteggiare l'epidemia Covid-19 che ha pesantemente investito tutti noi. Sono delegato Rsu della Filctem Cgil da quasi 2 anni e Rlssa, cioè il rappresentante dei lavoratori per sicurezza, salute e ambiente, da gennaio di quest’anno. Qual è  la mia opinione dall’interno di una fabbrica che non può fermarsi? Molti lavoratori, molto prima dell'ultimo decreto del 22 marzo, mi avevano chiesto se non sarebbe stato più opportuno fermare tutto, chiudere tutte le attività e pensare alla salute delle persone. Ovviamente la mia realtà non può chiudere completamente, fornendo beni e servizi fondamentali in questo momento di criticità per gli ospedali.

Il personale è stato quasi interamente dedicato alle produzioni medicali, ed è stato attivato il telelavoro per le figure compatibili con questo strumento. Abbiamo scoperto quindi che lo smart working è qualcosa di fattibile se c’è la volontà di portarlo avanti, e questo sarà un tema da contrattare a fine emergenza. Come Rsu/Rlssa operiamo e vigiliamo affinché le attività lavorative si svolgano garantendo i requisiti di sicurezza degli ultimi Dpcm, tutelando la salute di chi opera in azienda e attivandoci immediatamente nel caso tali requisiti non vengano rispettati. Il protocollo condiviso del 14 marzo si sta rivelando uno strumento fondamentale, dando pieno mandato alle Rsu e agli Rls per l'applicazione e la verifica delle regole del protocollo stesso attraverso un apposito comitato, prontamente costituito in azienda il 16 marzo. Voglio sottolineare l'importanza di comunicare ai lavoratori tutte le azioni messe in campo e le decisioni prese: senza comunicazione è come se non stessimo facendo nulla, o quasi. Cerchiamo quindi di arrivare a colleghe e colleghi con tutti i mezzi possibili, anche se questo significa lavorare il triplo, anche da casa.

È il momento della responsabilità: se ogni lavoratore non sarà responsabile dei propri comportamenti giornalieri, seguendo le regole per ridurre il contagio e segnalando gli aspetti critici, difficilmente si potrà continuare a produrre beni essenziali in sicurezza e le conseguenze sarebbero catastrofiche. Stiamo lavorando su questi comportamenti, un lavoro enorme e difficilissimo. Questa emergenza costringe tutti ad essere consapevoli – non solo la Rsu – e a prendersi responsabilità che prima non venivano nemmeno considerate. Rischiare in prima persona ha cambiato il nostro modo di vedere le cose.

Possiamo fermarci? No. La chiusura totale può essere la soluzione più semplice e immediata, ma sono convinto non sia quella più efficace. Non stiamo affrontando la fine della società per come la conosciamo e ci sarà un post-pandemia. Bisognerà ripartire, e fermare tutto ora potrebbe significare fra qualche mese la distruzione di un tessuto produttivo con ripercussioni molto forti in termini di povertà e condizioni di vita di tutti i lavoratori. Dobbiamo fare in modo che tutte le aziende ritenute necessarie possano continuare a produrre garantendo la sicurezza e tutelando la salute di lavoratrici e lavoratori. Questo significa che le proprietà devono fare tutto il possibile in questo senso, dedicando tutte le risorse necessarie, valutando e eliminando tutti i rischi di contagio connessi alle attività produttive. Non è il momento di pensare ai costi e al profitto. È fondamentale concentrarsi sulla salute di chi, rischiando con grande sacrificio, sta contribuendo col proprio lavoro nella lotta contro questa epidemia”.