Sabato 14 marzo sindacati, governo e imprese hanno sottoscritto il protocollo con le regole per limitare il contagio da Coronavirus negli ambienti di lavoro. Al punto 13 il documento prevede la costituzione in ogni azienda di un comitato per l'applicazione e la verifica delle regole concordate, “con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e del Rls”. Lunedì 16 marzo alla Eskigel di Terni, azienda con 200 dipendenti diretti e fino a 350 somministrati, che produce gelati per i principali marchi della grande distribuzione, la Rsu, insieme al Rls (rappresentante dei lavoratori per la sicurezza) si è presentata in azienda chiedendo di fare un sopralluogo.

“L'idea – racconta Barbara Silvestrini, operaia e delegata sindacale della Flai Cgil – era quella di verificare il rispetto delle distanze tra le postazioni di lavoro. Per questo ci siamo dati appuntamento alle 8 in azienda e siamo andati a cercare il Rspp (il responsabile aziendale per la sicurezza, ndr). Ma, anziché trovare la collaborazione che ci saremmo aspettati in una situazione del genere, io e gli altri Rsu siamo stati invitati ad andarcene. Solo il Rls, grazie alla nostra insistenza, è stato fatto entrare”.

I delegati si sono allora rivolti alle proprie strutture sindacali e in maniera unitaria è partita la risposta. “Abbiamo subito scritto al prefetto, alla Usl e all'Ispettorato del lavoro per segnalare questo episodio gravissimo – spiega Paolo Sciaboletta, della Flai Cgil Umbria – e restiamo pronti a mettere in campo azioni di mobilitazione, possibilmente in maniera unitaria, sciopero compreso, se l'azienda non cambierà immediatamente atteggiamento. Perché è chiaro – continua il dirigente sindacale – che non può essere questo il comportamento di una realtà importante come Eskigel in un momento in cui è richiesto il massimo senso di responsabilità e collaborazione”.

Nella nota diramata dai sindacati Flai, Fai e Uila dopo l'episodio si legge: “La partecipazione delle Rsu in questa fase, non solo è prevista dal protocollo, ma è fondamentale, vista la situazione di emergenza nella quale le lavoratrici e i lavoratori stanno comunque operando. Serve buonsenso da parte di tutti, soprattutto quando c'è di mezzo la salute”. Inoltre, i sindacati “intimano all'azienda di rispettare le agibilità sindacali previste dalla legge 300”.

Il giorno dopo, martedì 16 marzo, il comitato previsto dal protocollo anti-Coronavirus si è finalmente riunito in Eskigel, “ma non siamo arrivati alla sottoscrizione di un documento comune”, spiega ancora Barbara Silvestrini. “Non ce la siamo sentiti di firmare nulla, perché ci sono questioni delicate che vanno approfondite – continua la lavoratrice –. La questione è al tempo stesso delicata e complicata, perché si tratta della salute di centinaia di colleghe e colleghi e delle loro famiglie e noi Rsu non abbiamo gli strumenti per verificare davvero che tutto sia in sicurezza. Non posso mica andarmene in giro con il metro per i reparti a misurare la distanza tra le persone, tanto più che quando sono qui dentro io devo anche lavorare”.

Per Barbara la condizione ottimale sarebbe stata una sospensione dell'attività per il tempo necessario a mettere davvero in atto tutte le misure necessarie, sulle quali poi i rappresentanti dei lavoratori avrebbero potuto fare verifiche e controlli. “Ma così questo percorso è squilibrato – insiste la delegata sindacale –, io sono una semplice operaia, non ho le conoscenze tecniche necessarie e dall'altra parte c'è l'azienda che spinge per produrre, anche perché ora la competizione si gioca anche su questo: chi riparte prima, chi rallenta di meno”.

La soluzione, secondo la delegata, potrebbe essere quella di avere nel comitato un organismo terzo, che sia l'Asl o l'Ispettorato del lavoro. “L'ho scritto anche a Landini durante la diretta facebook – conclude l'operaia –. Noi delegati così siamo caricati di una responsabilità enorme, in fabbrica c'è un clima di paura, tutti noi abbiamo paura. C'è la consapevolezza che potremmo essere veicolo del virus verso i nostri cari, molti di noi hanno figli a casa da cui tornano ogni giorno. In questa condizione gestire l'applicazione del protocollo è davvero difficile, noi cerchiamo di tamponare, ma la pressione è davvero altissima”.