Le trasformazioni economiche e demografiche hanno prodotto profondi cambiamenti anche nelle città. Le politiche neoliberiste hanno parimenti prodotto un impatto sui luoghi e indebolito gli elementi di coesione delle comunità, modificando la stessa struttura fisica e l’organizzazione delle città. Con queste trasformazioni si interfaccia oggi la pervasività delle implementazioni tecnologiche, da cui consegue una connotazione diversa delle dimensioni urbane.

La narrazione prevalente delle città intelligenti, le cosiddette Smart Cities, pare oggi centrata su macchine e algoritmi, non sulle relazioni sociali e sul benessere diffuso. L’assenza di una visione complessiva delle necessità emergenti e di una progettazione politica, etica, sociale delle città stesse, rischia di configurare le Smart Cities come un mero agglomerato di soluzioni tecnologiche.

Su questi temi la Cgil ha collettivamente e lungamente discusso nei mesi passati, confrontandosi con esperienze territoriali e internazionali, costruendo una proposta di piattaforma rivendicativa. Riteniamo infatti maturo l’inizio di una fase di contrattazione dei temi che attengono le reti materiali e le reti immateriali a livello urbano, partendo dall'assunto che le reti digitali devono essere considerate a tutti gli effetti una nuova categoria di “opere di interesse pubblico”, e i dati che vi transitano devono essere considerati alla stregua di “beni comuni”.

L’uso intelligente della tecnologia può infatti rappresentare, se governato, un circolo virtuoso, e una città può a propria volta incoraggiare la creatività e l’impegno dei propri cittadini, favorendo la nascita di servizi sulla base dei loro effettivi bisogni. Affinché le innovazioni tecnologiche possano diventare elementi abilitanti di forme di sviluppo complessivo più ampio delle comunità e di riperequazione delle disuguaglianze è necessaria una contrattazione territoriale, di natura non solo sociale, che riduca le diseguaglianze ed eviti le polarizzazioni, promuovendo uno sviluppo innovativo che risponda ai bisogni sociali inevasi e permetta di “fare comunità” a partire dalle piattaforme digitali.

Le Città metropolitane dovrebbero prevedere, nel loro ecosistema, cambiamenti del modello amministrativo e organizzativo e “piattaforme digitali abilitanti” che portino a democrazia partecipativa, cooperazione tra pubblico, privati, mondo della ricerca e innovatori, creazione di nuove competenze per l’innovazione.

Dalla consapevolezza del nostro sindacato di quanto sia rilevante una contrattazione d’anticipo degli algoritmi da cui discendono organizzazioni di luoghi e di lavoro, e di quanto le città producano enormi quantità di dati, provenienti dai singoli, dalle pubbliche amministrazioni e dalla rete di sensori connessi a internet, discende la necessità di proporre elementi di riappropriazione di queste risorse in capo alla comunità, implementando anche strumenti di “coordinamento” degli interessi coinvolti ogni qual volta si proceda a nuove implementazioni tecnologiche in ambito territoriale.

La “città intelligente” deve infatti diventare una “città partecipata” ed utilizzare le tecnologie per accrescere la prosperità locale, la competitività, il capitale umano e la partecipazione democratica dei cittadini, secondo un principio di giustizia sociale: i veri indicatori di smartness, che sono tutt'altro che neutri, devono misurare il grado di coinvolgimento, informazione e codeterminazione del cittadino nelle scelte pubbliche, il grado di trasparenza delle piattaforme pubbliche ed il grado di coesione sociale dei luoghi.

Per lanciare le proposte della Cgil, venerdì 13 marzo presso la Camera del lavoro di Milano (in corso di Porta Vittoria 43), dalle ore 9.30 alle 14.30, avrà luogo un confronto con sindaci, docenti, istituzioni nazionali e internazionali.

Cinzia Maiolini è responsabile dell'Ufficio Lavoro 4.0 della Cgil