Il 6 aprile del 1944 le truppe nazi fasciste assaltano e distruggono la cascina della Benedicta dove i partigiani della 3a Brigata Liguria avevano insediato il loro comando, catturando molti di loro. Il giorno dopo (è il Venerdì Santo) i prigionieri vengono fucilati da un plotone di esecuzione composto da bersaglieri italiani comandati da un ufficiale tedesco.

I cadaveri vengono sepolti in una fossa comune insieme a quelli di alcuni giovani catturati e trucidati nei boschi lì vicino, altri, fatti prigionieri, saranno poi fucilati il 19 maggio al Passo del Turchino, altri ancora saranno catturati e avviati alla deportazione, quasi tutti a Mauthausen. Alcuni di loro riusciranno fortunosamente a fuggire, ma in tantissimi perderanno la vita.

Il 16 aprile il quotidiano Il Secolo XIX, pubblicherà in seconda pagina il seguente comunicato:

Operazioni contro banditi in provincia di Genova: duecento morti e quattrocento prigionieri. Da qualche tempo gruppi di banditi si aggiravano nel territorio montano ai confini delle province di Alessandria e di Genova. Per eliminarli è stata ordinata un’operazione alla quale, insieme a reparti dell’esercito e della polizia germanica, hanno partecipato reparti di un reggimento bersaglieri e quattro compagnie della G.N.R. di Alessandria e di Genova. Oltre duecento banditi sono stati uccisi e circa quattrocento catturati. Tra i morti sono alcuni capibanda.

Lo spirito popolare e le ceneri della Benedicta

Il rastrellamento della Benedicta, che nelle intenzioni dei nazisti e dei fascisti avrebbe dovuto fare terra bruciata intorno alla Resistenza, non riuscirà a piegare lo spirito popolare. Anzi, proprio dalle ceneri della Benedicta il movimento partigiano riuscirà a riprendere vigore.

La divisione Mingo avrà tra i suoi promotori proprio alcuni degli scampati alla Benedicta. Altri partigiani continueranno la loro esperienza in formazioni della Val Borbera e in altre divisioni partigiane dell’appennino alessandrino. 

Nel maggio del 1996 il Presidente della Repubblica conferirà alla Provincia di Alessandria la medaglia d’oro al valore militare per l’attività partigiana, con una motivazione facente espressamente riferimento all’eccidio della Benedicta come evento emblematico della Resistenza nel territorio.

Il Decreto recita

Terra di antiche tradizioni di libertà, fedele alle sue glorie civili e sociali, le popolazioni dell’alessandrino, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, opposero una strenua resistenza alle forze germaniche di occupazione. Costituiti i Comitati di Liberazione Nazionale, iniziarono i moti di ribellione e di lotta, cui presero parte numerose unità SAP e GAP e otto Divisioni partigiane. Nelle drammatiche battaglie del 5-11 aprile 1944, presso il Monastero della Benedicta, meno di mille partigiani, parte di quelli ancora disarmati, si difesero accanitamente di fronte a soverchianti forze tedesche. Nell’impari lotta, 96 partigiani vennero catturati, 79 caddero in combattimento, 350 furono fatti prigionieri e trasferiti nei campi di sterminio in Germania, dopo che 19 di loro erano stati fucilati al passo del Turchino, insieme ad altri 40 ostaggi. I 5.680 partigiani combattenti della Provincia, di cui 535 Caduti e 75 uccisi per rappresaglia, oltre alle centinaia di cittadini feriti e mutilati a seguito di devastanti bombardamenti di Alessandria e di Novi Ligure, stanno a dimostrare l’asprezza della lotta, fatta di sacrifici, privazioni e rappresaglie feroci.
Contro quel regime del terrore, le popolazioni dell’alessandrino tradizionalmente pacifiche, seppero eroicamente manifestare tutto il loro amore per la libertà e la giustizia, a difesa di una Patria occupata ed oppressa.

“Gente del popolo, partigiani e lavoratori, genovesi di tutte le classi sociali - diceva sedici anni dopo la strage, il 28 giugno 1960, il futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini - Le autorità romane sono particolarmente interessate e impegnate a trovare coloro che esse ritengono i sobillatori, gli iniziatori, i capi di queste manifestazioni di antifascismo. Ma non fa bisogno che quelle autorità si affannino molto: ve lo dirò io, signori, chi sono i nostri sobillatori: eccoli qui, eccoli accanto alla nostra bandiera: sono i fucilati del Turchino, della Benedicta, dell’Olivetta e di Cravasco, sono i torturati della casa dello Studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori. Nella loro memoria, sospinta dallo spirito dei partigiani e dei patrioti, la folla genovese è scesa nuovamente in piazza per ripetere 'no' al fascismo, per democraticamente respingere, come ne ha diritto, la provocazione e l’offesa”.

I fucilati del Turchino, della Benedicta, dell’Olivetta e di Cravasco. I torturati della casa dello Studente.

Uccisi perché antifascisti.