L’economia è una cosa troppo seria per lasciarla nelle mani degli speculatori di borsa. Non c’è futuro con “l’economia di carta”. Sono queste le frasi più gettonate in questo periodo, dopo il terremoto finanziario che ha scosso (e continua a scuotere) il mondo. Si è parlato di fine di una illusione, di ritorno ai “fondamentali”, della necessità di recuperare la linfa vitale dei rapporti sociali ed economici: la fiducia. I segnali che ci arrivano dai mercati finanziari (ma anche dai mercati rionali) non sono però per nulla rassicuranti. C’è qualcosa di molto profondo che dobbiamo cercare di capire e non possiamo accontentarci di slogan seppure molto corretti e condivisibili, né tanto meno berci le banalità contenute nelle dichiarazioni dei pentiti del mercatismo, di cui il rappresentante massimo vorrebbe essere il quasi ex presidente Usa, George W. Bush. Il momento è davvero difficile, come dimostra l’ennesimo crollo delle borse americane, ma anche europee e asiatiche. Neppure il ricorso all’intervento dello Stato per coprire le voragini aperte dal sistema finanziario statunitense e quindi per riparare ai tanti fallimenti del mercato sembra in grado di invertire la rotta. Quello che è certo è che ci vorrà tempo per riprendersi dalla botta.

“Ci vorrà più tempo perché la crisi finanziaria e del credito rientri, e per l'economia reale questo si ripercuoterà con una recessione più ampia a prolungata". A rilanciare l'allarme è stato il capo economista dell'Ocse, (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), Klaus Schmidt-Hebbel, con un'intervista all'Observer. 'E' probabile – dice Schmidt-Hebel - che la ripresa sarà più lenta di quanto è avvenuto con le crisi degli ultimi anni, ma la ripresa dipenderà soprattutto dalla velocità in cui ripartirà il mercato finanziario". Nel frattempo aumentano i segnali di recessione che vengono ammessi sia dai responsabili statunitensi al monitoraggio dell’economia reale, sia dai dirigenti delle organizzazioni industriali. La Confindustria parla apertamente di recessione, mentre il suo quotidiano, Il Sole24 ore, continua a pubblicare editoriali (come quello di oggi, 24 ottobre di Daniele Marini) che inneggiano alla riscoperta della centralità dell’industria. Si ribadisce da tutte le parti che servono nuove regole per i sistemi finanziari e che serve il rilancio di un nuovo rapporto tra il sistema finanziario e l’industria. “L’attività manifatturiera – scrive Marini – torna a rioccupare una centralità che appariva essere stata surclassata dalla dimensione finanziaria, dalla finanza creativa, dalla terziarizzazione dell’economia”. Come per il pendolo di Eco, si dovrebbe tornare alla normalità. Ovvero alla produzione di ricchezza attraverso il lavoro.

Ma è proprio qui che viene il bello. Si dice che è necessario ritrovare la fiducia, quel bene raro di cui ha parlato e straparlato a sproposito il presidente Berlusconi, che continua ad eccellere nell’arte del lanciare il sasso, nascondendo immediatamente la mano (non era lui che aveva rassicurato tutti sugli effetti della crisi?). Ma poi la fiducia crolla, come certi titoli indicati da Palazzo Chigi e preda magari di speculazioni. Ce lo conferma l’Isae: scende il clima di fiducia del settore manifatturiero ed estrattivo passando a ottobre da 81,8 di settembre a 77,7. Lo rileva l'indagine condotta dal primo al 20 di questo mese su un panel di circa 4.000 imprese. Si tratta del valore più basso registrato dal settembre del 1993. Il peggioramento è dovuto al forte calo dei giudizi sugli ordini e delle attese di produzione; scendono invece lievemente le scorte di magazzino. Peggiorano decisamente anche le attese sulla domanda e crollano quelle sulla situazione economica generale del paese.
Nello stesso tempo è crisi nei mercati e negli ipermercati, anche se a ottobre la fiducia dei consumatori ha fatto registrare una flessione contenuta. Lo rileva sempre l'Isae, sottolineando che l'indice scende da 102,8 a 102,2. L'indice relativo alle opinioni sulla situazione personale degli intervistati passa da 114,4 a 112,3 mentre quello relativo al quadro economico generale scende da 80,3 a 78,4.

Il governo Berlusconi, mentre rassicura mediaticamente, appare incapace di qualsiasi progetto di rilancio effettivo dell’economia. Il professor Tremonti continua a recitare la parte del primo della classe nei consessi internazionali, ma le chiacchiere stanno a zero. Qui da noi si taglia e basta. Non esiste nessuna politica economica, né tanto meno politiche industriali degne di questo nome. Anzi il governo a volte sembra voler remare contro, salvo poi ritornare sui suoi passi se qualcuno si mette a fare opposizione vera. Un esempio? Sembra che siano state aumentate le dotazioni per il 2009 degli ammortizzatori in deroga e che vengano riammesse, per il loro utilizzo, quelle imprese che hanno terminato l’uso degli ammortizzatori previsti dal regime generale. Ce ne dà notizia il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni, secondo il quale si tratterebbe di “un primo risultato della Cgil dopo l’ipotesi di una stretta al ricorso agli ammortizzatori in deroga, presente in un provvedimento collegato alla Finanziaria, ma che non è ancora sufficiente”, aggiunge. “La notizia su un aumento delle dotazioni 2009 per gli ammortizzatori in deroga - spiega Fammoni - e la riammissione al loro utilizzo di quelle imprese che hanno concluso l’uso degli ammortizzatori previsti dal regime generale, sono una conferma della denuncia di inadeguatezza dell’intervento, per una fase così grave, fatta dalla Cgil, e rappresentano un primo ed importante risultato della nostra iniziativa”.

Ma tutto questo non basta. Se la situazione è così grave come ammettono tutti (dal Vaticano a Bush), allora il minimo che si possa fare è aprire un tavolo di negoziato serio sulle iniziative per fronteggiare la crisi. E’ quello che cercherà di fare Barack Obama negli Usa se dovesse vincere le elezioni. E qui da noi? Qui c’è un governo in carica che si distingue solo nella polemica. Il premier e i suoi ministri continuano ad additare la Cgil, descritta come l’unica vera responsabile dei guai di ogni tipo: dall’Alitalia, alla crisi dei subprime. Auguri.