Non abbiamo ancora asciugato le lacrime per le vittime colpite dalla grave alluvione dei giorni scorsi e già ci ritroviamo a fare i conti con le catastrofiche previsioni meteo dei giorni venturi per la nostra città, Catania, dove nei giorni scorsi è caduta la quantità di acqua di un intero semestre. Guai, però a parlare di catastrofe improvvisa: il cambiamento climatico e la conseguente tropicalizzazione sono argomenti ben noti a tutti, salvo, forse, ai capi del mondo. Certo, evidenti sono le nostre responsabilità dirette per l’uso sconsiderato fatto soprattutto negli ultimi decenni delle risorse naturali e, più in generale, del sistema pianeta.

Responsabilità pari solo a quelle relative alla mancanza di programmazione delle misure di intervento pubblico, che da una parte dovrebbero invertire il trend e dall’altra porre le condizioni per non far pagare lo scotto ai cittadini già in ginocchio. Alle immissioni spropositate, si aggiunge l'edificazione selvaggia in aree fondamentali per la tenuta del nostro ecosistema, una tra tutte la cintura metropolitana di Catania, che detiene il triste primato di essere la zona più cementificata della Sicilia (che è al quarto posto nella stessa classifica nazionale per regioni).

Uno svilimento continuo del nostro pianeta aggravato da una mancanza assoluta di programmazione per prevenire tragedie già annunciate. Catania è stata distrutta e ricostruita almeno 9 volte, noto il motto che riempie d’orgoglio il petto dei figli catanesi, “Melior de cinere surgo” - la celebre iscrizione che si trova sull’arco di Porta Garibaldi e che richiama il mito dell’Araba Fenice - ma si tratta di mera sfortuna o di uno spavaldo e distruttivo approccio al nostro territorio?

“Tralasciando” le eruzioni che hanno raso al suolo Catania, il tema delle alluvioni e delle scelte costruttive (o meglio dire distruttive?) su un terreno in parte argilloso ed estremamente edificato, sono da sempre al centro del dibattito politico. Le scelte prese, ad oggi, possono definirsi del tutto irresponsabili ed errate. Gli stakeholder del settore da tempo preannunciano gli sviluppi di tali decisioni amministrative sconsiderate. Dopo l’alluvione del 1951, importanti risorse finanziare governative furono spese per il contenimento del fiume Simeto e la bonifica delle aree limitrofe. Nella spavalda e incosciente convinzione di aver domato il fiume nacquero l’area industriale e copiosi insediamenti urbani lì dove vi era il letto delle acque. In quei luoghi - senza la necessità di scomodare particolari eventi atmosferici - annualmente si contano ingenti danni. Una mancanza di programmazione abbinata ad un utilizzo non efficace dei fondi.

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La nostra terra però oltre a non programmare in modo efficace riesce persino a non spendere. Celebre il caso della gronda cittadina e del collettore B che avrebbe dovuto arginare con un investimento di 58 milioni di euro lo spettro delle crisi idrogeologiche. Un progetto di oltre 25 anni fa prevedeva la realizzazione di un canale di gronda che avrebbe dovuto circumnavigare la parte alta della città captando tutte le acque irregimentate dai paesi dell'area pedemontana per convogliarle a mare. Invocato e quasi pronto nei roboanti comunicati stampa del 2015, bloccato ad un passo dalla firma dal ministero che cambia le regole in corsa chiedendo che i progetti fossero da subito esecutivi e non solo definitivi.

Impasse come questa hanno fatto sì che alla nostra città manchi tuttora, ad esempio, il raccordo tra il collettore B e il torrente Cubba, così come mancano molte delle opere di raccordo con il collettore di cui si sarebbero dovuti far carico i comuni della zona pedemontana, dinamiche che nei fatti producono il versamento di tutte le acquee sovrastanti la cintura urbana a valle. La mancanza di un così fondamentale anello di sbocco è oggi sotto gli occhi di tutti. C’è da dire che a rigor di logica andrebbero prima irreggimentate le acque della parte inferiore dei collettori e quindi quelle superiori. Così nei fatti il collettore B non è stato mai utilizzato.

Sull’iter del canale di gronda, come riportato dalla stampa locale, l’ing. Salvo Marra del Comune che sta seguendo la procedura di completamento dichiara:“I gravi allagamenti cui stiamo assistendo da alcuni giorni sono dovuti in parte anche al mancato collegamento delle reti di smaltimento, delle acquee meteoriche di alcuni comuni della cintura pedemontana, al canale di gronda che corre al di sotto della circonvallazione e poi sfocia a mare all’inizio della scogliera accanto alcuni lidi”.

Una responsabilità diffusa che non lenisce dunque le gravi negligenze delle amministrazioni regionali e territoriali soprattutto alla vista dei dati pubblicati dalla corte dei conti. Come sottolineato dal vicepresidente Franco Garufi del centro Pio La Torre, la Sicilia ha ricevuto circa 789 milioni di euro del piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico. Dei quasi 228 milioni derivanti dai programmi di finanziamento FESR 2014-2020 attinenti al rischio idrogeologico risultano impegnati 45 milioni di euro con pagamenti che ammontano a 28 milioni di euro. Dei 583 milioni finanziati nel patto regionale siciliano su fondi FSC 2014-2020 ne sono stati impegnati solo 26 e pagati appena 9. Fino ad arrivare al patto Città di Catania, con un finanziamento di 31 milioni non ancora utilizzato né tanto meno impegnato.

Ci si chiede quindi oltre al perché di questa grave mancanza operativa, dove siano finiti tutti quei soldi. È già tardi, ma dobbiamo fare ogni sforzo per salvare Catania: per farlo è indispensabile agire con trasparenza e competenza, dare vita ad una cabina di regia ampia e diffusa che metta dentro le migliori menti e i più virtuosi interessi della nostra città, partendo proprio dal progetto gronda e continuando con l’analisi dei fondi utilizzabili, seguendo quel modello di partecipazione dal basso sempre invocato e mai realmente applicato.

Vincenzo Cubito, segretario generale Fillea Cgil Catania