Lo afferma il Terzo Rapporto di Salutequità su Trasparenza e accesso ai dati sullo stato dell’assistenza ai pazienti non Covid, lo stato di salute delle italiane e degli italiani è peggiorato. Soprattutto si è ulteriormente ridotto uno dei pilastri della riforma del '78: quello che garantisce salute non solo come assenza di malattia ma come benessere della persona, che già non era tra i punti di forza prima del coronavirus, la prevenzione.

Medici, infermieri, biologi e tecnici di laboratorio, tutti impegnati strenuamente a fronteggiare le diverse ondate pandemiche che da febbraio 2020 attraversano l’Italia, non hanno potuto occuparsi dell’“ordinarietà”. Che però in sanità significa garantire, appunto, la salute ai cittadini e alle cittadine. Ambulatori chiusi, visite programmate rinviate, prestazioni non erogate. Ma anche, soprattutto durante il primo lockdown il timore di recarsi negli ospedali e nei pronto soccorso per paura del contagio. Ora non è più rinviabile che il servizio sanitario nazionale di faccia carico di tutti quelli rimasti indietro, privi delle cure necessarie.

Rispetto al 2019, nell’anno del Covid vi è stato un aumento del 40% della rinuncia alle cure dei pazienti non Covid, con picchi in alcune regioni. In Lombardia (58,6%), Piemonte (48,5%), Liguria (57,7%), Emilia Romagna (52,2%). E poi la mancata prevenzione. Strumento indispensabile per arrivare prima che alcune patologie aggrediscano l’organismo sono gli screening, in Italia era una pratica non diffusa come sarebbe utile ma comunque presente in quasi tutte le regioni. Ebbene nel periodo gennaio-settembre 2020 rispetto allo stesso periodo 2019 sono stati svolti 2.118.973 in meno di screening cervicale, mammografico e colorettale (-48,3%). Questa riduzione ha prodotto 13.011 minori diagnosi tra lesioni, carcinomi e adenomi avanzati. Sarà un caso che a rinunciare di più a cure e prestazioni anche di prevenzione siano le donne?

E per quanto riguarda il cuore non va certo meglio. Lo scorso anno sono diminuiti del 40% i ricoveri per infarto acuto, e le procedure di cardiologia interventistica strutturale transcatetere hanno addirittura registrato un crollo del 70%. Difficile pensare che siano diminuiti proprio gli infarti, è più corretto ritenere, dicono dalla società italiana di cardiologia interventistica, che chi stava male non si sia recato al pronto soccorso temendo di essere infettato dal virus. Ma questo non fa altro che aggravare le condizioni di chi sta male.

I numeri che è più doloroso leggere, sono quelli che riguardano l’aspettativa di vita. Certo, la contabilità dei morti da Covid che ogni giorno scandisce i nostri pomeriggi doveva farlo prevedere, ma ciò di cui parliamo è altro. Testimonia che il nostro servizio sanitario nazionale, nonostante gli sforzi “eroici” del personale insufficiente a star dietro all’ordinario figuriamoci in tempo di pandemia, non è riuscito a garantire il diritto alla salute a tutti e tutte. Scrive il rapporto di Salutequità: “Nel 2020 persi 0,9 anni di speranza di vita alla nascita (da 83,2 a 82,3 anni – Istat, Bes 2020). La riduzione è più marcata nelle Regioni del Nord (da 83,6 a 82,1 anni attesi). A seguire le Regioni del Centro (da 83,6 a 83,1) e il Mezzogiorno (da 82,5 a 82,2). È la Lombardia la Regione che ha visto diminuire maggiormente la speranza di vita alla nascita: 2,4 anni (da 83,7 a 81,2). È forte la variabilità regionale”.

E se i numeri sono terribili nel loro significato ma aiutano a ragionare, quel che appare sconcertata è la difficoltà a reperirli aggregati e organizzati in maniera puntuale e, soprattutto, tempestiva. Ecco quanto rilevato dal Rapporto:

Relazione sullo stato sanitario del Paese – Ultima quella 2012-2013 pubblicata il 18 dicembre 2014 - 7 anni di ritardo rispetto ai dati 2020;
Monitoraggio dei Lea attraverso la cosiddetta Griglia Lea. Metodologia e Risultati dell’anno 2018 – Pubblicato il 5 novembre 2020 - 2 anni di ritardo rispetto ai dati 2020;
Nuovo sistema di garanzia dei Lea (Nsg) – Risultati dell’anno 2018 – 2 anni di ritardo rispetto al 2020;
Annuario statistico del servizio sanitario nazionale – Ultimo anno disponibile 2018, pubblicato il 18 dicembre 2020 - 2 anni di ritardo rispetto ai dati 2020;
Il personale del sistema sanitario italiano (anche convenzionato) – Ultimo anno disponibile 2018, pubblicato il 5 febbraio 2021 - 2 anni di ritardo rispetto ai dati 2020;
Conto annuale (fa da base ai rinnovi contrattuali e dovrebbe essere rinnovato quest’anno il contratto) – Ultimo disponibile quello 2018 pubblicato a marzo 2020 - 2 anni di ritardo rispetto ai dati 2020;
Rapporto annuale sulle attività di ricovero ospedaliero (Sdo) – Ultimo anno disponibile 2019, pubblicato il 18 gennaio 2021 – 1 anno di ritardo rispetto ai dati 2020;
Programma nazionale esiti (Pne) - si chiama 2020, ma riporta i dati del 2019 – 1 anno di ritardo rispetto ai dati 2020;.

Non c’è tempo, verrebbe da dire, occorre mettersi in pari con gli arretrati e aumentare le risposte del servizio ai bisogni di salute della popolazione italiana. Vi è un’unica via per farlo: investire, investire, investire. Soprattutto negli uomini e nelle donne delle professioni sanitarie. Occorre una grande campagna di assunzioni e un adeguato riconoscimento professionale e contrattuale.