Donare un abbraccio in questi tempi di distanziamento fisico imposto per legge è un segno di sensibilità per il presente e di speranza per il futuro. Donarlo a un anziano, in Lombardia, in una rsa, è la medicina migliore contro il dramma della solitudine e del senso di abbandono imposti dalla pandemia. Deve aver pensato questo lo Spi Cgil regionale quando ha deciso, a sue spese, di dotare di una stanza degli abbracci 14 rsa, una per ciascuno dei 14 territori in cui si divide la Lombardia. Tutto è partito ufficialmente con l’inaugurazione di Alzano Lombardo, a un anno esatto da quella domenica 23 febbraio 2020 segnata dalla chiusura e quasi immediata – controversa – riapertura del pronto soccorso dell’ospedale “Pesenti Fenaroli”, preludio per lo scoppio di uno dei focolai Covid più gravi d’Italia.

Da quella domenica in Lombardia sono morte di covid oltre 28mila persone. Molte di queste – difficile avere un dato esatto – erano over 65 e vivevano in una rsa. Ci ha pensato lo Spi Cgil a restituire umanità, affetto e solidarietà in un contesto e in una terra che sta ricadendo, proprio in questi giorni, in un incubo già vissuto, tra zone rosse, chiusure e contagi impazziti.

“Noi abbiamo sempre avuto un contatto stretto con le rsa – ci ha raccontato Valerio Zanolla, segretario generale del sindacato pensionati regionale della Cgil –. Prima che iniziasse la pandemia facevamo mille iniziative con gli anziani ospiti delle residenze. Li portavamo a giocare a carte, gli facevamo scrivere poesie, racconti, organizzavamo corsi di pittura. Collaboravamo con molte delle 700 strutture presenti in regione”. Poi è arrivata l’emergenza sanitaria e le porte delle rsa sono rimaste chiuse per molto tempo. Gli ospiti hanno smesso da un giorno all’altro di vedere i parenti e anche di poter partecipare alle iniziative del sindacato. “Così ci siamo domandati cosa potessimo fare per alleviare questa distanza. E abbiamo deciso che regalare loro la possibilità di riabbracciare i propri cari fosse la cosa giusta. Abbiamo fatto ricerche di mercato per capire come fare e alla fine abbiamo trovato una soluzione”.

È nata così l’idea di donare queste stanze che permettono il massimo del contatto senza in realtà che ci sia contatto fisico e quindi rischio di trasmissione del contagio. Strutture gonfiabili all'interno delle quali, in totale sicurezza perché separati da una parete in PVC, ci si potrà nuovamente stringere.

Ogni inaugurazione, da quando è partito il piccolo tour dello Spci Cgil, ha segnato quasi il passo di una rinascita, spalancando sorrisi e inumidendo occhi. Rendendo realtà lo slogan che accompagna l'idea, Ricominciamo con un abbraccio. Perché una volta in piedi la struttura, sono iniziate le prime visite, i primi abbracci. “Io finora ho assistito a tre inaugurazioni, a Vidigulfo nel pavese, a Sant’Angelo lodigiano, pochi chilometri da Codogno, e ad Alzano Lombardo. Un luogo simbolo nella storia del covid, lì e a Nembro sono scoppiati i focolai più drammatici nella provincia di Bergamo, con tanti, troppi morti. E proprio ad Alzano abbiamo assistito all’incontro e all’abbraccio, protetto, di una moglie con il marito, dopo un anno che non si vedevano. È stato emozionante e commovente per tutti noi che eravamo presenti”.

Il programma va avanti spedito. Proprio ieri ne è stata consegnata un’altra a Galbiate, in provincia di Lecco. Domani a Sondalo, provincia di Sondrio. Un segnale per risvegliare il territorio e cercar di fare proseliti. “E ci stiamo riuscendo. A Lecco ieri mattina hanno fatto altri due ordinativi. Se non fossero parole inquietanti di questi tempi, direi che la nostra idea è contagiosa, in senso positivo”.

Come siete riusciti a superare quest’anno di pandemia? “È stato un anno dove ci siamo sentiti tante volte inadeguati davanti a una situazione che ci sfuggiva di mano – ci dice Valerio Zanolla –. Eppure noi fin da subito siamo partiti capendo quello che stava accadendo. Il 27 febbraio 2020 denunciammo in una lettera pubblica indirizzata alla Regione e ai giornali il rischio che correvano le rsa con la diffusione del contagio, perché avevamo le antenne nelle case di riposo. Abbiamo fatto iniziative, ricerche, abbiamo cercato di capire come hanno vissuto gli anziani nelle loro case, abbiamo coinvolto esperti che ci aiutassero a capire il modo migliore di agire”.

Ma come è stato possibile tutto ciò in Lombardia? “Siamo di fronte a una regione che ha dimostrato di non essere in grado di gestire una fase così difficile. Se cambi in 8 mesi l’assessore al welfare e tre direttori, per giunta andandoli a pescare fuori dal territorio, ammetti di non essere in grado di affrontare la situazione. Del resto qui governa la Lega che ha sempre avuto posizioni ambigue sul covid, è sempre stata a favore delle aperture, ha sempre pensato prima di tutto all’economia più che all’emergenza sanitaria e al pericolo del contagio”.

Qual è il rischio di questa situazione prolungata, che per giunta sta ripartendo in tutta la sua drammaticità? “Con tutti questi ritardi inspiegabili sul fronte della campagna vaccinale non vorrei che poi si finisca per affidare ai privati anche la somministrazione del vaccino. Non vorrei che alla fine la logica sia quella del business, come è accaduto per i tamponi. Che il primo che passa e, soprattutto, che paga, può farsi il vaccino, senza una regolamentazione regionale. Visto che il messaggio inizia a girare, ci chiediamo con che criterio li farebbero i vaccini, nel privato? Il paradosso è che alla fine rischiamo di uscire da questa situazione con il privato ancora più forte”.

Come se ne uscirà? Difficile dirlo. “Noi – è l’amara considerazione del segretario dello Spi Cgil lombardo – ancora adesso, dopo un anno, siamo nella situazione in cui chi si sente la febbre non ha nessun medico che lo visiti a casa. La medicina territoriale di fatto non esiste. L’unica opzione resta chiamare l’ambulanza, sovraccaricando i pronto soccorso e gli ospedali e, nel caso in cui sia una semplice influenza, rischiando di ammalarsi di covid all’ospedale. Il problema è rilanciare la medicina di territorio”.