Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta il Sud dell’Italia è attraversato da diversi movimenti di rivendicazione sociale. Le organizzazioni di estrema destra rispondono a questa ondata di protesta da un lato con una serie di attentati dinamitardi (il 22 luglio 1970 a Gioia Tauro una bomba fa deragliare il treno Freccia del Sud provocando 6 morti e 54 feriti), dall’altro tentando di accreditarsi al grido di ‘Boia chi molla’ come rappresentanti degli interessi della popolazione in lotta.

Nella notte fra il 3 e il 4 febbraio 1971, presso la sede della Provincia, a Catanzaro, dove avevano provvisoriamente sede gli uffici della Regione Calabria, viene collocata una bomba. Sfidando il divieto delle autorità di pubblica sicurezza, nel tardo pomeriggio successivo i partiti antifascisti organizzano una manifestazione in piazza Grimaldi.

In prossimità della vicina sede del Movimento Sociale Italiano vengono esplose delle bombe a mano. Una di queste uccide il muratore socialista Giuseppe Malacaria, di 35 anni, ferendo altre nove persone, otto civili e un carabiniere. Malacaria arriva in ospedale presentando ferite profonde agli arti inferiori e superiori ed è subito condotto in sala operatoria. Gli vengono asportati il pollice e l’indice della mano sinistra ma non c’è nulla da fare, muore per trauma cranico ed emorragico causato dallo spappolamento della coscia sinistra. Le indagini si orienteranno verso gli ambienti missini, conducendo a un processo contro alcuni giovani militanti di quel partito, poi assolti.

La stessa sera del 4 febbraio alla Camera si registrano incidenti tra comunisti e missini. Il Presidente Pertini convoca i capogruppo, entra in aula, riapre la seduta sospesa e dichiara: “Deploro i gravi incidenti avvenuti poco fa e credo di interpretare il pensiero di tutti condannando la brutale violenza consumata oggi a Catanzaro. Ogni uomo libero e democratico deve protestare; questi atti di violenza minacciano la nostra democrazia conquistata lottando contro il fascismo e il nazismo”.

Dal luglio 1970 al febbraio 1971 una serie di sommosse interessano la Calabria anche in seguito alla decisione di collocare il capoluogo di regione a Catanzaro nel quadro dell’istituzione degli enti regionali. “Specie nei quartieri popolari - raccontava ad Oriana Fallaci un latitante Ciccio Franco - v’erano tanti ragazzi che ritenevano che Reggio potesse esser difesa dai partiti della sinistra o di centro-sinistra. E, dopo la posizione assunta dai partiti di sinistra e di centro-sinistra contro Reggio, questi ragazzi hanno ritenuto di dover rivedere la loro posizione anche politicamente. Molti, oggi, fanno i fascisti semplicemente perché ritengono che la battaglia di Reggio sia interpretata in modo fedele solo dai fascisti”.

Per mesi Reggio sarà barricata, a tratti paralizzata dagli scioperi e devastata dagli scontri con la polizia e dagli attentati dinamitardi. Alla fine della rivolta si conteranno sei morti tra i civili, centinaia di feriti e migliaia di denunce. La calma verrà ristabilita solo dopo dieci mesi di assedio con l’inquietante immagine dei carri armati sul lungomare della città.

Oltre alla forza, per la soppressione della rivolta si ricorse anche a mediazioni e compromessi politici (il cosiddetto Pacchetto Colombo) che portarono a un’insolita divisione degli organi istituzionali della Calabria e all’insediamento nel territorio reggino di apparati produttivi che non furono mai realizzati o furono subito oggetto di speculazioni da parte della ‘ndrangheta.

Ciccio Franco sarà eletto al Senato nel 1972. Nello stesso anno, in ottobre, i sindacati metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil (insieme ai sindacati degli edili ed alla Federbraccianti Cgil) organizzeranno una grande manifestazione di solidarietà a fianco dei lavoratori calabresi.

La manifestazione indetta per il 22 ottobre 1972, fortemente voluta da Bruno Trentin, Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto (insieme a loro sono in città Luciano Lama e Rinaldo Scheda, alla guida degli edili Cgil c’è Claudio Truffi, a capo della Federbraccianti Feliciano Rossitto) è preceduta da una Conferenza sul Mezzogiorno, alla quale partecipano anche Alfredo Reichlin  e Pietro Ingrao.

I neofascisti tenteranno di impedire l’arrivo dei manifestanti con una serie di attentati nella notte tra il 21 e il 22 ottobre. Nonostante i tentativi criminosi (già a partire dal 15 ottobre, erano avvenuti nella città una serie di attentati a danno della sede della Uil, di una sede del Pci, di una sede del Psi e di alcuni edifici pubblici), oltre 40.000 manifestanti riescono a raggiungere – anche se in tempi diversi – Reggio Calabria. I primi pullman cominciano ad arrivare al mattino presto, nella notte atterrano due aerei – uno da Trieste e l’altro dalla Sardegna -, da Genova e da Napoli approdano due navi, anche i treni in serata riescono a raggiungere la stazione.

Dirà Pierre Carniti in un affollatissimo comizio: “Quel treno che portava via gli emigranti… non volevano consentire che tornasse per farli partecipare a questa grande manifestazione. Siamo in presenza, amici e compagni, e non la sottovalutiamo affatto, siamo in presenza di una criminalità organizzata, che è anche indicativa, però, del suo isolamento. Si tratta di gente disperata, perché ha capito che l’iniziativa di lotta dei lavoratori, di questa stessa manifestazione sindacale, rappresenta un colpo durissimo. Ecco perché reagiscono con rabbia, reagiscono con disperazione. E oggi, come cinquant’anni fa, questa reazione conferma che il fascismo con il manganello e il tritolo è al servizio dei padroni e degli agrari contro i lavoratori e contro il proletariato. Ma dunque compagni, debbono sapere che non siamo nel ‘22 e che la classe operaia, le masse popolari, le forze politiche democratiche hanno la forza ed i mezzi per difendere le istituzioni democratiche dall’attacco e dall’aggressione fascista. E ciascuno farà la sua parte in questa direzione. Oggi non sono calati a Reggio, amici e compagni di Reggio, i barbari del Nord, ma con gli impiegati e con gli operai del Nord sono tornati a Reggio i meridionali!”.

Aggiungerà Bruno Trentin: “Io comprendo benissimo le bombe contro i treni, a Reggio, in quanto Reggio Calabria ha significato un momento di svolta: non solo per quella grande manifestazione sindacale, ma perché da lì è partito anche un impegno diverso del mondo sindacale rispetto alle masse di lavoratori e anche alle masse di disoccupati del Mezzogiorno. I fascisti hanno colto giustamente, secondo me, il pericolo che si profilava”. Come a Genova dodici anni prima, i vecchi militanti, le giovani leve della classe operaia e gli studenti, ritrovatisi nuovamente a fianco in unità d’intenti, non solo non soccombono ai fascisti, ma si riprendono la città.

“E alla sera Reggio era trasformata - cantava Giovanna Marini - pareva una giornata di mercato, quanti abbracci e quanta commozione, il Nord è arrivato nel Meridione. E alla sera Reggio era trasformata, pareva una giornata di mercato, quanti abbracci e quanta commozione, gli operai hanno dato una dimostrazione”.

Andavano col treno giù nel Meridione
per fare una grande manifestazione
il 22 d’ottobre del '72
in curva il treno che pareva un balcone
quei balconi con la coperta per la processione
il treno era coperto di bandiere rosse
slogans, cartelli e scritte a mano
da Roma Ostiense mille e duecento operai
vecchi e giovani e donne
con i bastoni e le bandiere arrotolate
portati tutti a mano sulle spalle
il treno parte e pare un incrociatore
tutti cantano Bandiera Rossa
dopo venti minuti che siamo in cammino
si ferma e non vuole più partire
si parla di una bomba sulla ferrovia
il treno torna alla stazione
tutti corrono coi megafoni in mano
richiamano andiamo via Cassino
compagni da qui a Reggio è tutto un campo minato…