Tredici anni fa la strage alla ThyssenKrupp di Torino che causò la morte di 7 operai, Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone e Roberto Scola (nel video l'audio della telefonata di quella notte al 118 e il racconto del lavoro in fabbrica di Ciro Argentino, ex operaio). Come ogni anno Sicurezza e Lavoro, che promuove in tutta Italia la tutela dei diritti dei lavoratori nell’ambito della sicurezza e non solo, ha preparato, a cavallo della data del 6 dicembre, una serie di iniziative che compongono il programma delle Settimane della Sicurezza. E domani, in occasione dell’anniversario, seguirà l’inaugurazione del memoriale dedicato alle vittime dell’acciaieria all’interno del cimitero monumentale di Torino, “un’iniziativa alla quale abbiamo partecipato – ci racconta Massimiliano Quirico, direttore di Sicurezza e Lavoro – supportando l’amministrazione in questo percorso”.

Com’è stato il 2020 che sta per finire, riguardo ai temi della salute e della sicurezza? “Il fenomeno delle morti sul lavoro non si arresta. Da gennaio a ottobre, prendendo in considerazione solo i dati Inail, i morti sono stati 1036, ben 332 di covid. E se non ci fossero stati i protocolli voluti dai sindacati la situazione poteva essere ben peggiore. Un contesto che sorprende se pensiamo che durante la pandemia ci sono state aziende chiuse per mesi, il lockdown, il lavoro da casa. Senza contare tutti i morti legati comunque a luoghi di lavoro come le rsa”.

Preoccupati in questa chiave dalla crisi economica dovuta all’emergenza sanitaria? “Non c’è dubbio che la crisi economica rinnova il ricatto tra sicurezza e lavoro, soprattutto in quelle aziende in cui non ci sono i sindacati. Molti imprenditori, con la scusa della pandemia, fanno tagli sulla sicurezza. Il malcostume è trasversale. Tra le tante situazioni che seguiamo, mi vengono in mente quelle in agricoltura o nei cantieri navali, dove ci sono stati episodi di sfruttamento. A Cuneo è iniziato il primo processo per caporalato e ovunque stanno aumentando le quote di lavoro grigio o nero. Sempre più spesso i migranti sono costretti a lavorare in qualsiasi condizione. Abbiamo saputo di lavoratori con febbre alta costretti ugualmente a recarsi al lavoro, nonostante il rischio del virus. Molti braccianti, ad esempio a Saluzzo, vivono accampati per strada o nei parchi, senza controlli sanitari. E i dati non vengono tracciati, questi casi scompaiono nel nulla. Di recente abbiamo seguito un caso di grave sfruttamento nel settore dell’allevamento, dove il presunto caporale Momo costringeva ragazzi migranti a lavorare di notte con le bestie e poi, al sorgere del sole, li portava a raccogliere frutti nei campi”. Con il rischio che, in un anno complicato come quello attuale, episodi di irregolarità, sfruttamento e mancanza di tutele finiscano nel cono d’ombra della pandemia. Che si parli solo di covid e non dei tanti infortuni e malattie professionali.

Riflessioni al centro di questi 14 giorni nei quali Sicurezza e Lavoro è andata, come spesso fa, a parlare nelle scuole, ma anche nei corsi professionali come quelli per operatori socio sanitari, raccogliendo testimonianze gravi come quelle di chi, impiegato come badante da cooperative senza scrupoli, non veniva dotato di dpi, rischiando di infettare se stesso e gli anziani che accudiva. “C’è anche tutta la criticità legata al personale delle pulizie – ci ricorda Massimiliano Quirico –, agli addetti che si scambiavano la mascherina, costretti a turni massacranti. A riprova che sono sempre i più piccoli e i più deboli a pagare le conseguenze delle crisi”.

Senza dimenticare l’amianto, che nel nostro paese si è portato via, come non si stanca di testimoniare Sicurezza e Lavoro con la sua opera e i suoi reportage, centinaia di migliaia di lavoratori e cittadini. “Quest’anno abbiamo seguito in particolare tre storie. L’Olivetti a Ivrea, con il processo penale terminato senza condanne; la Teksid di Carmagnola, la fonderia dove si lavorava ghisa e alluminio. E soprattutto stiamo tentando di ricostruire la storia delle Ogr di Torino, la più grande fabbrica della città fino al 1911, nella quale ci furono tantissime morti di amianto, ma di fatto nessun colpevole”.