Il 24 gennaio 1979 le Brigate Rosse uccidono a Genova Guido Rossa, iscritto al Pci e delegato sindacale della Fiom, membro del Consiglio di fabbrica dell’Italsider dal 1970. Operaio di origine veneta, Guido Rossa fu trucidato per aver denunciato Francesco Berardi, un brigatista infiltrato in fabbrica.

“Verso le 8.30 odierne - dichiarava Rossa il 25 ottobre 1978 - mi trovavo presso l’officina centrale del suddetto centro siderurgico ndr l’Italsider di Genova. Alcuni operai di questo reparto mi hanno portato un opuscolo delle Brigate rosse e mi hanno detto di averlo trovato nella cabina della macchina del caffè. Ho preso l’opuscolo e mi sono recato presso l’ufficio del Consiglio di fabbrica. Durante il tragitto mi sono fermato presso le macchine del caffè del reparto C.M.C. allo scopo di accertare se anche in questi luoghi vi fossero degli opuscoli del tipo di cui sopra. In tutti e tre i suddetti posti ho visto l’impiegato Berardi Francesco (…) D’accordo con i miei compagni abbiamo deciso di portare l’opuscolo ai servizi di vigilanza dello stabilimento. Sceso al piano inferiore del Consiglio di fabbrica ho visto il Berardi Francesco che presentava un rigonfiamento sotto la camicia che indossava, con sopra la giacca, come se avesse un pacco di opuscoli più o meno della stessa misura di quello rinvenuto nell’officina. (…) Appena il Berardi è uscito dal Cdf ho riferito al Contrino Diego, membro del Cdf, il sospetto che il Berardi nascondesse sotto la camicia degli opuscoli delle Br e l’ho invitato a seguirlo allo scopo di sorprenderlo mentre disponeva detti opuscoli in qualche zona dello stabilimento. Appena sono uscito assieme al Contrino dalla porta del Cdf, sul davanzale, abbiamo rinvenuto un opuscolo dello stesso tipo di quello descritto. Il Berardi, in quel momento, si trovava a circa 20 metri. (…) Non ho altro da aggiungere”.

Al comando a pochi passi dall’Italsider l’appuntato di turno scrive la denuncia e invita il gruppo di operai e delegati in attesa a firmare. Firma solo Guido Rossa. Il 30 ottobre si apre il processo contro Berardi. Rossa, unico testimone, conferma la sua accusa durante il dibattimento, una denuncia che gli costerà - di fatto - la vita quel terribile 24 gennaio 1979.

Hanno sparato a tutti noi” titolerà l’Unità il giorno seguente: “Nessuno degli assassinii compiuti finora dai terroristi, per quanto in alto ne fossero le vittime, per quanto illustri o importanti o note apparissero, ci ha procurato un dolore profondo e se non stiamo attenti, disperante, come questo che ci viene dalla uccisione del compagno Rossa, il più grave, il più esecrando, il più crudele, il più lacerante delitto perpetrato fino ad oggi. Perché Guido Rossa era un operaio e un sindacalista. Egli apparteneva dunque alla classe di coloro ai quali ci sentiamo più vicini, perché in questa sua duplice qualità di operaio e di sindacalista rappresentava la democrazia, era la democrazia. Le altre vittime dei terroristi, profondamente rimpiante, costituivano della democrazia garanzia e presidio, difesa e sostegno, vigilanza e tutela, ma il compagno Rossa ne era l’essenza e la sostanza”.

“Sai qual è la differenza tra noi e le Br? - reciterà l’anonimo, bellissimo biglietto di un operaio a lui dedicato - Noi con le nostre lotte tendiamo ad estrarre i meglio che c’è nell’uomo. Loro il peggio. Noi la solidarietà tra gli uomini, loro l’omicidio. Quando si aspetta un operaio sotto casa e gli si spara alla spalle si è fascisti, non ho altro da aggiungere”.

Le istituzioni decideranno per Guido Rossa i funerali di Stato, che si svolgeranno in piazza De Ferrari il 27 gennaio. Dirà quel giorno Sandro Pertini: “Non sono qui come presidente, sono qui come Sandro Pertini, vecchio partigiano e cittadino di questa Repubblica democratica e antifascista. Io le Brigate Rosse le ho conosciute tanti anni fa, ma ho conosciuto quelle vere che combattevano i nazisti, non questi miserabili che sparano contro gli operai … Agli operai è stato detto oggi che bisogna difendere questa democrazia anche se qualcuno non è soddisfatto. Nulla è perfetto, a questo mondo. Ma è una nostra conquista, delle lotte antifasciste, della Resistenza quindi bisogna difenderla, la democrazia. Quello che mi conforta è che la classe lavoratrice questo l’ha compreso. Ho fatto questa affermazione a Savona, ed è stata accolta dal consenso di tutti gli operai. La Repubblica, costi quel che costi, deve essere difesa, non è qualcosa che ci è stato regalato da altri. Questa nostra Repubblica ce l’hanno data vent’anni di lotta antifascista, di sacrifici, di morti”.

“Nel corso della sua lotta per la difesa della democrazia e per la sua emancipazione, il movimento operaio ha conosciuto molti nemici - aggiungerà Luciano Lama a nome della Federazione unitaria -. Ma questi sono fra i più vili perché operano come i fascisti e hanno lo stesso obiettivo dei fascisti anche se si coprono con una bandiera che non è la loro”.

“Sono un delegato dell’Officina centrale - diceva nel suo primo intervento al Consiglio di fabbrica Guido - prendo la parola per la prima volta a questo microfono perché alle parole ho sempre preferito l’azione”.