Se nelle Marche il terremoto ha azzerato la vita materiale delle persone – niente casa, niente cose – il coronavirus ha ucciso quella sociale. Le poche persone per strada sono un’indistinta umanità. Le mascherine coprono sorrisi ed espressioni. Gli occhi, da soli, diventano difficili da interpretare. Anziani e ammalati sono sempre più soli, confinati nelle casette, in residenze per anziani ed ospedali dove non è possibile rendere loro visita. Un racconto sempre più comune nelle nostre famiglie, nel nostro Paese, ma che diventa insostenibile se negli ultimi tre anni hai dovuto mettere in discussione ogni certezza maturata nella vita. Macerie dentro e macerie fuori.

Il nostro racconto prende il via da Castelsantangelo sul Nera, in provincia di Macerata. “Le iniziative dei nostri comuni sono di pura sopravvivenza, speranza e salvaguardia della persona – spiega il sindaco, Mauro Falcucci, che ha già vissuto da primo cittadino il sisma del 1997 –. Per noi è un dramma nel dramma. Tutti stanno osservando le disposizioni. Se nelle aree delle casette dovesse esserci un modesto contagio, il rischio diventerebbe altissimo. I sindaci adesso servono come sentinelle per far rispettare le ordinanze e distribuire le risorse messe in campo dal governo. Converrete che avremmo potuto ricoprire un ruolo altrettanto utile anche per il terremoto. E questo ci suscita amarezza. Assistiamo giustamente al fatto che oggi si mettano in campo provvedimenti eccezionali, perché la situazione è eccezionale. Ma a mio avviso anche il terremoto è stata una situazione eccezionale. Lo abbiamo detto in tutte le lingue ma ancora oggi si procede con procedure ordinarie”.

Le dinamiche che si stanno innescando a livello sociale sono intuibili quanto drammatiche – sono le parole di Daniele Principi, segretario organizzativo della Camera del lavoro di Macerata - . Stiamo parlando di un territorio che ancora non si è ripreso da quello che è successo nel 2016 e oggi siamo di fronte a un’emergenza sanitaria che si sta velocemente trasformando in tracollo economico. Stiamo gestendo migliaia di richieste di ammortizzatori sociali, soprattutto in quei settori che cercavano di resistere maggiormente: pubblici esercizi, turismo, commercio che oggi si trovano esattamente come nel resto del Paese ma con una situazione di partenza peggiore”.

Noi eravamo già abituati agli effetti della zona rossa – racconta Claudio Cingolani, presidente di Io non Crollo Marche – oggi la difficoltà maggiore è nel muoversi con i mezzi pubblici, oltre al fatto che anziani e famiglie numerose siano improvvisamente costrette a dividere per 24h al giorno uno spazio angusto. Abbiamo grossi quartieri di casette SAE - si fa lo slalom tra le sigle, questa sta per Soluzioni Abitative di Emergenza - dove abitano tutti quelli che hanno perso la casa durante il terremoto. La reclusione crea problemi anche a chi è impegnato nel sostegno delle persone anziane o in difficoltà. Non si può uscire e sono soltanto le forze dell’ordine e i volontari della protezione civile a operare. Il comune di Camerino ha attivato un numero verde per permettere di chiedere aiuto per la spesa, i medicinali e tutte le altre necessità.

A Camerino, l’ospedale della montagna, nella zona più colpita dal sisma, è diventato un presidio Covid. Una struttura antisismica, costruita dopo il terremoto del 1997, all’avanguardia, dove è presente la rianimazione con dei sistemi di ventilazione moderni. Il più indicato sul territorio per fronteggiare questa emergenza. “Questo ci rende sicuramente orgogliosi – afferma ancora Cingolani – però si tratta dell’ennesimo sacrificio chiesto alla nostra popolazione. Tutti i reparti sono stati vuotati e i degenti trasferiti a Macerata e San Severino. Oggi si può accedere al pronto soccorso ma in caso di necessità si viene trasportati altrove. Amaro il commento del sindaco Falcucci di Castelsantangelo sul Nera: “Noi facevamo riferimento all’ospedale di Camerino, e per noi curarci è diventato un terno al lotto. Adesso bisogna arrivare a Macerata: 70 Km di cui 20 in mezzo alle montagne prima di raggiungere la superstrada. Se non garantiamo la qualità della vita e le strutture essenziali forse non c’è ragione di ricostruire. Prima è necessario un progetto. Se non c’è un progetto stiamo buttando via i soldi”.

All’interno dell’ospedale, la vita degli operatori sanitari non è facile, soprattutto a livello emotivo. A contatto tutto il giorno con il virus, la fatica, la morte e la paura di infettare i propri familiari. Al loro fianco decine di uomini e donne impegnati a garantirne il funzionamento della struttura come operatrici delle mense, della sicurezza, delle manutenzioni e delle pulizie. Queste ultime si sono ritrovate da un giorno all'altro a svolgere un lavoro esponenzialmente più pericoloso, senza l’adeguata formazione e senza dispositivi di protezione per attendere ai propri compiti in sicurezza. Lavoratrici impiegate per appena 6 euro l’ora. La Cgil si è spesa in una battaglia di civiltà - in stretto rapporto con la Prefettura - per attivare le disposizioni relative alla sicurezza. C’è grande attenzione da parte del sindacato sulle numerose richieste di aziende di riprendere l’attività sulla necessità di rispettare tutte le normative dei protocolli.

I cantieri relativi alla ricostruzione anche qui sono totalmente fermi. Tutte le attività che stavano andando avanti a fatica oggi stanno subendo un arresto. Le aziende possono ricevere i pagamenti perché il commissario ha sbloccato le somme. Il compito del sindacato è di accertarsi che i lavoratori percepiscano quanto di loro competenza e che alla fine dell’emergenza sanitaria si possa ripartire nel rispetto delle regole. Lavoro nero e mancati pagamenti sono la realtà di molte aziende edili che operano nell’illegalità, senza farsi scrupolo di scaricare sui lavoratori gli effetti degli appalti al massimo ribasso. Tutti d’accordo nel pensare che questo territorio non possa permettersi altri ritardi oltre a quelli già accumulati per motivi burocratici prima dello scoppio crisi Covid-19.

A Daniele Principi della Cgil chiediamo di raccontarci l’attività sindacale in questa situazione inedita. “Stiamo sperimentando forme alternative che non avevamo mai conosciuto in passato. Eravamo abituati a fare le assemblee, a incontrare i lavoratori, mentre adesso dobbiamo cercare di dar loro una mano a distanza. Stiamo operando con i gruppi Whatsapp, con le applicazioni che permettono riunioni online, svolgiamo le pratiche in maniera telematica. Stiamo cercando di mettere in piedi forme estemporanee di sindacato e il fatto che la Cgil faccia tutto il possibile per restare vicino alle persone, cercando di non farle sentire sole, viene molto apprezzato, perché ce n’è bisogno”.

La mancata ricostruzione, l’attesa, lo spopolamento sono il tratto distintivo di questa fotografia delle regioni colpite dal terremoto del Centro Italia a poco più di un mese dall’esplosione nel nostro Paese della pandemia del coronavirus. Per il sindaco di Castelsantangelo sul Nera, Mauro Falcucci: “Si tratta di provare a portare via la pelle un’altra volta. Ma se questi territori non verranno salvaguardati, la montagna italiana e l’Appennino saranno destinati a scomparire. Vanno messe in campo le misure eccezionali di sostegno e salvaguardia previste in una legge di 26 anni fa: la 97/94 a tutela delle aree montane. Una norma completamente inapplicata perché approviamo leggi di principio ma poi non licenziamo i decreti attuativi. A leggerla si trovano accortezze e deroghe che sono un diritto sacrosanto anche costituzionalmente previsto. Bisogna decidere cosa fare: perché senza lavoro, senza economia, senza futuro, senza attenzioni, la montagna italiana scompare. Si tratta di riconoscere i diritti di 10 milioni di italiani”.

(la foto di questo articolo è Federica Nardi, tratta da Cronache Maceratesi)