Tre mesi dopo la firma dell’accordo tra Pedro Sánchez e Pablo Iglesias del documento sulle misure di politica economica e sociale su cui centrare i contenuti della manovra di bilancio per quest’anno, il governo spagnolo ha approvato questo venerdì il ddl di legge finanziaria 2019 per portarlo in Parlamento già al principio della prossima settimana.

Lo fa all’inizio di un anno tra i più complessi della storia democratica spagnola: alla vigilia della formazione del governo andaluso che vedrà per la prima volta alla guida della giunta autonoma il Partido Popular e Ciudadanos con il sostegno dell’estrema destra di Vox, a poche settimane dall’inizio del processo giudiziario nei confronti della leadership indipendentista catalana e a pochi mesi dalla celebrazione di elezioni europee, municipali e delle autonomie, forse anche di quelle politiche. Lo fa proprio per questo insieme di cose, nonostante ad oggi non ci siano ancora i numeri per farla passare, provando a rimanere in carica il più possibile, perché un troppo ravvicinato ritorno alle urne, senza risultati concreti, potrebbe mettere ali al blocco reazionario.

Una finanziaria “per riscattare i diritti maltrattati dal precedente governo e per blindare i diritti e le libertà che si cominciano a mettere in questione”, dice presentando il ddl la portavoce del governo Isabel Celaá, in chiaro riferimento alla propaganda di Vox che vorrebbe abolire le leggi contro la violenza sessuale e per i diritti delle persone LGTB, azzerare lo Stato delle Autonomie, espellere decine di migliaia di migranti dal territorio spagnolo e cancellare la legge sulla memoria storica. Perciò sono previste più risorse per proteggere le donne dalla violenza sessuale, per il sistema territoriale definito nella Costituzione; perciò, afferma, è una legge di bilancio solida, per l’equilibrio e la convivenza.

Una finanziaria che si dipana secondo “il principio della prudenza”, spiega  la ministra dell’Economia Nadia María Calviño, che assume una crescita del Pil del 2,2%, in linea con le previsioni degli organismi nazionali e internazionali e un obiettivo di deficit inferiore di cinque decimi a quello che aveva annunciato il governo tre mesi fa, approvato dalla Camera dalla maggioranza che aveva fatto fuori Mariano Rajoy e bocciato dalle destre al Senato e ora pari all’1,3%.

Una manovra di bilancio che porterà ad una riduzione dell’occupazione di oltre 800.000 unità, (dal 15,5% al 14%) e il rapporto debito su Pil al 95,8%, con un aumento delle entrate pari all’8,3% rispetto al 2018 e una crescita della spesa in politiche sociali pari al 6,4%, tanto che ora la spesa sociale rappresenta il 57% del bilancio. “Il messaggio che vogliamo lanciare, dice la ministra, è il mantenimento dell’impegno con i limiti di bilancio imposti dall’Unione europea ma in un sentiero di crescita sostenibile. E l’impegno con i cittadini  nel realizzare uno sforzo molto importante per ridurre la diseguaglianza”.

Sono ben 5,6 miliardi le entrate che vengono dalle nuove misure fiscali, perché “scommettiamo su una fiscalità giusta e progressiva”, afferma la ministra del Tesoro e delle Finanze María Jesús Montero, illustrando i capitoli delle entrate e delle spese. Nuove entrate o modifica di quelle attuali, tra cui l’aumento di due punti di Irpef sopra i 130.000 euro e di quattro punti sopra i 300.000 euro; l’aumento delle imposte sulle società e la loro riduzione invece per le piccole e medie imprese, l’aumento dell’imposta sul patrimonio (+1%), l’imposta sulle transazioni finanziarie, quella su alcuni servizi digitali e le nuove misure di fiscalità ecologica. Mentre si riduce l’Iva sui prodotti di igiene femminile, sui servizi veterinari e sul libro elettronico.

È già stato approvato l’aumento a 900 euro del salario minimo interprofessionale nella riunione del governo del 21 dicembre a Barcellona. Nella Finanziaria la spesa privilegia le pensioni (+6,1%), la legge sul sostegno alla dipendenza (+59%), il sistema scolastico (+5,9%), la politica per la casa (+41%), il sussidio alla disoccupazione (+4%), la cultura (+9,7%), la lotta alla povertà infantile, le politiche contro la violenza di genere (+20 milioni), la memoria storica (+15 milioni), l’elevamento del permesso di paternità (da 5 a 8 settimane), il finanziamento territoriale e comunale. A questo proposito, la ministra conferma che l’investimento in Catalogna sarà attorno al 18%, in linea col contributo del Pil catalano al reddito complessivo dell’economia spagnola, come prevede l’Estatut, anche se nessun governo lo ha fin qui applicato. Non sono invece presenti le misure sulla riforma del mercato elettrico e la limitazione degli affitti che Podemos rivendica, perché già contenuti nell’accordo di tre mesi fa e che la ministra dice si realizzeranno nel corso dell’anno.

Ora tocca al Parlamento approvarla, perché diventi legge ed eserciti i suoi effetti sull’economia e sulla coesione sociale. Ma il consenso della maggioranza che portò Sánchez alla Moncloa è ancora tutto da definire: i partiti indipendentisti catalani chiedono un gesto al governo socialista per un confronto vero che porti alla soluzione del conflitto.