Amizmiz è una piccola città a 50 km da Marrakech, ai piedi del mitologico monte Atlante. Ma forse è meglio dire era, perché il terremoto di settembre l’ha resa un cumulo di macerie. Ora che sono iniziate le scuole, i bambini vanno a lezione in un tendone allestito in fretta e furia, tra polvere e calcinacci. Ad Amizmiz è arrivata una piccola delegazione della Flai Cgil, con  il responsabile delle politiche internazionali Andrea Coinu, quello dell’immigrazione Jean René Bilongo, Matteo Bellegoni e tre lavoratori nati in questa terra, che oggi vivono in Italia, Mohammed El Rhaouate a L’Aquila, Houcine Lamghebbar a Lodi e Rachid Karim a Mantova. Delegati sindacali, che sanno bene cosa voglia dire sostenere chi è in difficoltà.

“Ci stringiamo attorno alla popolazione colpita dal terremoto più devastante mai registrato nel Paese, ai loro familiari in ansia - sottolinea Jean René Bilongo - nel segno di una solidarietà che è patrimonio comune, perché l’unione è la forza delle lavoratrici e dei lavoratori”. Così l’organizzazione sindacale gemella, la Fsna, con il segretario generale Ourich Badr e il responsabile esteri Mohamed Hakech accompagna la pattuglia della Flai nei luoghi del disastro, in un territorio gravemente ferito dalla furia distruttrice della natura, devastato da un sisma di una potenza impressionante, di magnitudo 7 della scala Richter.

Spaventoso il bilancio delle vittime, più di tremila donne, uomini e bambini seppelliti nelle loro case. “Siamo venuti qui per portare la nostra solidarietà, per dare una mano a chi ha perso tutto”. La città si è riorganizzata in piccole tendopoli, ogni quartiere ha la sua, per stare più vicino possibile alle proprie case. Tutti dormono in tenda e quasi tutte le case son da demolire, si metteva cemento sopra una base di terra, questo le ha rese fragilissime.

La vicinanza per sconfiggere quel senso di impotenza impossibile da non provare, di fronte a una tragedia simile. “Hanno quasi tutti perso il lavoro e la priorità è quella medica, per non essere scordati in fretta - spiega Andrea Coinu -. Un piccolo ospedale da campo della Croce Rossa ha presidiato la zona per pochi giorni. Ma dato che l’area è fuori dal circuito mediatico, è stato immediatamente reindirizzato in altre zone”.

La situazione

I media mondiali, complice la chiusura di re Mohammed VI e l’alluvione in Libia subito dopo, sembrano aver dimenticato questi territori. Il conto dei morti è fermo a 3000; i senza casa sono circa 3 milioni, e c’è bisogno di tende pesanti per affrontare i rigori dell’inverno che arriverà, tende che sono finite in ogni negozio del Marocco. “C’è doppiezza sulle necessità reali e sulle disponibilità delle autorità a reagire. Marrakech a pochi chilometri da qui si prepara al gran galà del forum internazionale tra Banca Mondiale e Fmi con aiuole fiorite ovunque. Qui invece le tendopoli a soli pochi metri dalla strada principale, e dunque dalle telecamere, non hanno neppure disponibilità di acqua, e le stesse tende sono troppo poche per far fronte alla necessità”.

“Kan ya ma kan...” (c’era una volta…), è la frase più ripetuta a Jemaa el Fna, la piazza più famosa del Maghreb, il cuore pulsante della città di Marrakech. “Ci ha colpito una frase piena di voglia di reagire, ci hanno detto che il terremoto ha ucciso molti fratelli e molte sorelle, ma il terremoto, muovendo la terra, ha riportato l’acqua, che in queste zone iniziava a mancare e impoveriva l’agricoltura”.