Si è realizzato in El Salvador l’incontro annuale di monitoraggio del funzionamento della Parte IV “Commercio e sviluppo sostenibile” dell’accordo di associazione tra l’Unione europea e i sei Paesi del Centro America (Guatemala, Honduras, Nicaragua, Costarica, Panama). Un accordo che attende la sua ratifica ed entrata in vigore da dieci anni, dovendo passare per l’approvazione di tutti gli organi competenti dei 27 Stati membri e bloccato da due assemblee regionali del Belgio che considerano questo modello di accordo, di prima generazione, oramai superato e quindi da non approvare ma da modificare.

Operazione che in assenza della sua entrata in vigore, non è possibile. Nel frattempo, l’accordo preda della burocrazia e dei capricci degli stati membri, in via transitoria, dal 2013, è attivo con il solo capitolo del commercio, la cui approvazione è limitata alle sole istituzioni dell’Unione europea. Strana storia questa, mentre gli ambiti dell’Accordo rimangono sospesi per anni, per il commercio le procedure sono agili e immediate. In ogni caso, nell’accordo è prevista la partecipazione della società civile identificata nelle categorie dei settori e delle rappresentanze del mondo delle imprese, del lavoro e del terzo settore, oltre a una uguale presenza del Consiglio economico e sociale europeo.

Queste rappresentanze nella misura di tre membri per settore, costituiscono il Comitato consultivo Interno, con la funzione di partecipare al monitoraggio del capitolo Commercio e Sviluppo sostenibile e fornire proposte e osservazioni all’organo politico di gestione dell’Accordo stesso, il Comitato politico, composto dai rappresentanti della Commissione europea e dei 6 governi centroamericani. Ogni anno, dalla firma dell’Accordo, si realizza il summit con una formula che prevede: la consegna al Comitato politico della Dichiarazione congiunta discussa e approvata dai Comitati consultivi delle due regioni; Unione europea e Centro America, la riunione del Comitato politico, incontri bilaterali, il Forum della società civile, un seminario a tema di informazione/formazione dei membri dei Comitati consultivi. Un format di tre giorni di incontri che si realizza alternando Bruxelles con una capitale del Centro America.

L’incontro realizzato a Salvador è stato il primo incontro in presenza dopo la pausa forzata dalla pandemia del Covid-19 e lo scenario politico e sociale della regione centroamericana è, a dir poco, preoccupante. Alla crisi economica che ha portato un ulteriore aumento della povertà e del lavoro informale, con punte fino all’85%, si somma una forte restrizione della democrazia e dei diritti di espressione e di associazione. In Costa Rica si riduce il dialogo sociale e si proibisce il diritto di sciopero, in Nicaragua oramai vige un sistema autoritario con espulsione dal paese dei dissidenti, in Honduras e in Guatemala i sindacalisti sono vittime di minacce e di assassinio, in Salvador il dissenso è punito dai 3 ai 17 anni di carcere e i sindacati indipendenti non sono autorizzati a negoziare. La società civile organizzata ha paura a esprimersi e a manifestare.

È in questo contesto che si è svolta la discussione tra i rappresentanti delle due regioni per raggiungere un consenso fortemente condizionato da un quadro politico di repressione e restrizione dei diritti di espressione e di associazione. Visto e considerato che anche gli accordi di libero commercio (Free Trade Agreement) promossi dall’Unione europea hanno alla base il rispetto dei diritti umani e delle libertà, di fronte a situazioni di palese restrizione e violazione dei diritti fondamentali, con governi che non riescono a garantire ispezioni, controlli, tutela e giustizia o che impongono politiche repressive e autoritarie, come si deve porre l’Unione europea? Può la sola politica commerciale produrre effetti sui diritti umani e sullo sviluppo sostenibile?

I dubbi, al rispetto sono tanti. Se è vero che nell’ultimo anno il volume di scambi commerciali tra le due regioni è aumentato del 10%, non vi è alcun riscontro di un miglioramento per gli indicatori sociali e ambientali, anzi, se proprio, registriamo un peggioramento delle condizioni sociali, anche se, non possono essere imputate direttamente all’Accordo ma piuttosto al contesto nazionale, regionale e globale.

Ma, di certo, se la leva per rafforzare i diritti, le libertà, lo sviluppo sostenibile è lasciato al mero ruolo del commercio, senza investire sugli altri ambiti come la cooperazione, il sostegno alla società civile e alle forme di economia solidale e sostenibile, la formazione, gli investimenti per l’inclusione sociale e la valorizzazione del territorio, l’Unione europea, e tutti noi, rimaniamo attori marginali, osservando, senza nulla poter fare, o contribuendo, anche se solo in parte, a perpetuare un sistema di concentrazione della ricchezza, di sfruttamento umano e di risorse naturali, di declino della democrazia e delle libertà.