Nel Regno unito gli effetti delle crisi che stanno scuotendo il mondo intero hanno determinato una risposta singolare da parte del Governo della neo premier Truss. Come il suo predecessore provò ad affrontare la crisi Covid tentando - per primo e senza successo - la strada dell’immunizzazione di gregge “naturale”, allo stesso modo, la risposta alla crisi attuale viene affrontata con una ricetta differente rispetto a quelle messe in campo dagli altri paesi industrializzati.

Intanto è importante rilevare che l’inflazione britannica ha raggiunto livelli più alti rispetto agli altri paesi del Vecchio continente, arrivando in doppia cifra già lo scorso luglio (10,1%), ai massimi dal 1982. Nel contempo, la sterlina ha toccato in settimana il minimo storico dall’inizio delle rilevazioni (1,035 dollari), al punto che la Bank Of England (BOE) aveva deciso per reazione di vendere titoli di stato britannici (Gilts) per circa 80 miliardi.

Il solito “sgocciolamento”?
È in questo contesto che si inserisce il piano di tagli delle tasse di Truss nel Paese di Re Carlo III: esso prevedeva di ridurre le imposte dal 2023, sia l’aliquota minima (dal 20% al 19%) che la massima (dal 45% al 40%). I maggiori beneficiari di questo provvedimento dovevano essere i redditi superiori alle 150.000 £ annue. È stato inoltre stabilito di disinnescare due incrementi delle imposte stabiliti dal governo Johnson per il 2023 per circa 19 miliardi sui redditi delle imprese e di circa 330 £ a famiglia per il sistema sanitario. A questo si aggiunga l’abolizione dell’imposta di bollo sui depositi fino a 250.000 £ (ora a 150.000) e del tetto ai bonus per i manager della City.

Contro il caro vita è stato inoltre deciso di fornire garanzie ai prestiti delle imprese e di definire un tetto alle bollette: non potranno essere superiori a 2.500 £/anno per famiglia. Il governo inglese vuole provare a fornire una risposta al movimento che minaccia(va) di non pagare affatto i consumi energetici, il quale si sta(va) diffondendo a macchia d’olio.

Questa manovra dal costo monstre di 180 miliardi sarà finanziata a debito, da coprire, negli anni a venire, anche col taglio al welfare per infanzia e disoccupazione (vincolandola di più alle offerte di lavoro secondo il principio “Make work pay”). L’idea della premier è quella di ripercorrere le tappe di Margaret Thatcher. Esplicitamente il governo parla della teoria del cosiddetto trickle down, letteralmente “sgocciolamento”, per cui se si riducono le imposte alle imprese e ai ricchi, vi saranno ricadute positive per tutti i cittadini. A prima vista sembrerebbe la classica manovra ultraliberista che colpisce i lavoratori e piace ai mercati.

“London, we have a problem”
Stavolta, però, sembra che anche i mercati stiano reagendo negativamente. L’Economist ha stroncato questa manovra: “se (Truss) opterà per politiche in stile anni Ottanta, come un taglio delle tasse e burocrazia e poco altro, allora sarà ricordata come una reazionaria, non una radicale”. La bocciatura del piano si è materializzata con un rendimento dei Gilts salito fin oltre il 4%. In queste condizioni, finanziare a debito tagli delle imposte diventa più costoso. Inoltre, con una sterlina debole e un Paese in piena ristrutturazione dell’export dopo la Brexit è probabile un aumento dei costi dei beni importati, il cui peso diviene maggiore per le fasce di reddito più basse. Se assommiamo anche la stretta dei tassi della BOE (in linea con le altre banche centrali), il rischio è di azzerare anche l’effetto di incremento della domanda che la pur scellerata riduzione delle imposte dovrebbe spingere.

Quindi il piano non è apparso credibile a livello finanziario, visto che gli investitori temono per la sostenibilità delle finanze pubbliche e chiedono maggiori rendimenti per acquistare i buoni. Nella giornata del 28 settembre il tasso dei titoli decennali inglesi ha superato il 4,5% (come in Italia, con spread a 242,86 mentre in Germania si attestano al 2,1%). Questo ha messo in allarme la BOE che è tornata sui suoi passi e anziché dismettere i Gilts come annunciato, ha dichiarato il 29 settembre di voler tornare ad acquistare debito sovrano di Sua Maestà come scudo alla corsa dello spread, per scongiurare una possibile crisi dei fondi pensione britannici in caso di ulteriori incrementi. Questa operazione, nel breve, sembra aver funzionato, con una riduzione di 40 punti base in un solo giorno, ma appare piuttosto schizofrenico il comportamento di una Banca Centrale che da un lato aumenta la liquidità acquistando titoli, dall’altro la riduce aumentando il costo del danaro per combattere l’inflazione.

Il piano Truss non risulta poi credibile neanche a livello di finanza pubblica, perché incrementa strutturalmente il debito pubblico anche e soprattutto perché non è socialmente equo, non sostenendo i redditi più bassi messi in difficoltà dal carovita cioè proprio quelli che potrebbero sospingere consumi e domanda interna impedendo la recessione.

È di oggi, 3 ottobre, la notizia del dietro-front della premier, che segue il “contrordine” della BOE e che segnala la grande confusione che regna nelle istituzioni britanniche. Il governo rinuncerà alla parte più controversa del suo piano di tagli fiscali, ovvero alla riduzione dell’aliquota destinata ai redditi più elevati, che coinvolgeva solo 2 miliardi di sterline all’anno, e non all’idea di un taglio generalizzato delle imposte. La mossa è stata dettata soprattutto dalle reazioni negative dei mercati. Chissà se sarà sufficiente a recuperarne la fiducia, e soprattutto chissà se il sogno di un nuovo thatcherismo si è già sgonfiato, o se è sarà solo ritardato.

Cristian Perniciano, responsabile politiche fiscali, economia e finanza pubblica Cgil