Il 30 novembre del 1981, con la risoluzione 36/67, l’Organizzazione delle Nazioni Unite sceglieva di celebrare la Giornata internazionale della pace ogni terzo martedì del mese di settembre, in coincidenza con il giorno dell’apertura delle sessioni dell’Assemblea Generale.  Successivamente, nel 2001, con la risoluzione 55/282, le celebrazioni verranno spostate al 21 settembre.

Nella risoluzione, le Nazioni Unite invitano tutti i paesi a commemorare la Giornata attraverso attività educative e di sensibilizzazione sul tema della pace e a rispettare la cessazione delle ostilità. E mai come quest’anno - a più di sei mesi dallo scoppio della guerra in Ucraina - avremmo bisogno che questo auspicio si avverasse.

Una guerra - quella russo-ucraina - che ha riportato in Europa immagini e racconti che speravamo di non dover vivere più.  Una guerra geograficamente a noi vicina e per questo più concreta, più "reale".  Ma - anche se se ne parla poco - si combatte anche altrove.

Dal Myanmar all’Afghanistan, dallo Yemen all’Etiopia, dalla Siria al Mali, dalla Libia alla Somalia, passando per la Palestina sono molte le popolazioni del mondo per cui il conflitto è la tragica normalità.

Il “Conflict data program” dell'Università svedese di Uppsala ha censito nel 2020 (l’ultimo anno per cui i dati sono disponibili) 169 conflitti, per un totale di oltre centinaia di migliaia di vittime. A dominare il panorama sono i conflitti interni, con la tendenza crescente da parte di attori esterni di supportare militarmente uno dei contendenti. Guerre che spesso durano da anni con conseguenze umanitarie catastrofiche, indipendentemente dalla loro intensità. 

Guerre delle quali spesso si parla poco, ma che ci sono e che ogni giorno causano mutilazioni, morti, violenze di ogni genere, troppo spesso purtroppo declinate al femminile, troppo spesso aventi per soggetto i bambini.

“Un totale di 93.236 minori - riportava nel novembre del 2020 Save the Children - sono stati uccisi o mutilati nei conflitti negli ultimi 10 anni. Ciò significa che ogni giorno in media sono morti o rimasti feriti 25 bambini, l’equivalente di un’aula piena di alunni. Molti sono stati vittime di attacchi aerei, bombardamenti, mine antiuomo e altre armi esplosive usate in aree popolate dove le famiglie sono state fatte a pezzi e decine di migliaia di bambini sono stati uccisi o hanno riportato cicatrici indelebili per il resto della loro vita”.

Bambini e bambine uccisi o mutilati, reclutati come bambini soldato, violentati e violentate.

“Il corpo della donna in questi luoghi - affermava qualche anno fa Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo - diventa un campo di battaglia; perché in questo modo non viene solamente violentata la donna o il minore, ma viene distrutta anche la forza dell’unione della comunità, viene messa in evidenza l’incapacità dell’uomo di difendere la propria famiglia, è un modo per offendere nell’intimo più profondo (…) nelle decine e decine di guerre che sono in corso nel nostro pianeta - anche se i massmedia parlano di 2 o 3 - la violenza non solo fisica ma anche in particolar modo sessuale, è un elemento caratterizzante di queste vicende contemporanee di cui si sa molto poco”.

“I bambini giocano alla guerra - scriveva Bertold Brecht - È raro che giochino alla pace perché gli adulti da sempre fanno la guerra”.

“Evitare i conflitti - affermava Maria Montessori - è opera della politica: costruire la pace è opera dell’educazione (…) l’educazione è l’arma della pace (…) Occorre organizzare la pace, preparandola scientificamente attraverso l’educazione”.

“'Se vuoi la pace - ci ricordava Enrico Berlinguer - prepara la guerra'”, dicevano certi antenati. E invece io la penso come i pacifisti di tutto il mondo di oggi: “Se vuoi la pace, prepara la pace”. Prepariamo la pace. Educhiamo alla pace. Giochiamo alla pace.